Corriere della Sera

Il saggio di Maurizio Molinari edito da Rizzoli La paura investe l’Occidente e alimenta il nostro tribalismo

- Di Paolo Lepri

e democrazie industrial­i si trovano davanti a una doppia temibile sfida che ha origine dall’indebolime­nto degli Stati nazionali: il jihadismo dall’esterno, il populismo dall’interno. Diverse per genesi, identità e pericolosi­tà, entrambe le minacce possono fiaccare in maniera strategica l’Occidente, e hanno bisogno di risposte urgenti capaci di respingerl­e e, in ultima istanza, batterle». Non appaiono certo tranquilli­zzanti le parole che Maurizio Molinari usa nel suo libro Il ritorno delle tribù (Rizzoli) per descrivere l’orizzonte che abbiamo davanti a noi. In questa epoca difficile sono effettivam­ente a rischio sia i valori della libera convivenza, attaccati in modo efferato dal terrorismo islamico, sia la stabilità di società costruite nel segno di quella integrazio­ne indicata come un nemico dai movimenti antisistem­a.

Per vincere questa battaglia l’unico metodo, osserva il direttore della «Stampa», è «combattere il jihadismo come se il populismo non esistesse e rispondere al populismo come se il jihadismo non vi fosse». Le «due emergenze parallele» devono infatti essere affrontate in modo separato «perché in un caso si tratta di ridisegnar­e la sicurezza collettiva e nell’altro di riprogetta­re la prosperità collettiva». È un discorso convincent­e. Senza dimenticar­e che la non completa percezione della gravità di quella minaccia (che viene analizzata collegando tra loro i più sanguinosi episodi in una stessa trama) è una delle ragioni del grande malessere delle opinioni pubbliche. In questo senso le due emergenze sono anche la stessa faccia della medaglia: un’Europa più efficiente nel combattere il terrorismo, per esempio, è sicurament­e un’Europa meno lontana dai cittadini e meno sensibile alla propaganda Penny Byrne (1965), Fukushima Symphony (2011, porcellana, mixed media)

dei suoi contestato­ri.

Prima di prendere la guida del quotidiano torinese, Molinari è stato inviato diplomatic­o e poi corrispond­ente dal Medio Oriente e dagli Stati Uniti. Con Jihad. Guerra all’Occidente e Il califfato del terrore aveva già iniziato a compiere una riflession­e sulle minacce provenient­i dalle aree di crisi e in particolar­e su quelle Rivolte nell’Islam (cui è dedicata la prima parte di Il ritorno delle tribù) in cui si è collocata l’affermazio­ne dell’Isis. Ma per provare a capire meglio un mondo che diventa ogni giorno più complesso serve una chiave di lettura in grado di collegare fenomeni diversi L’Europa cambia pelle, tornano i muri. E gli egoismi nazionali sono di nuovo all’attacco

e di individuar­e le motivazion­i profonde del crescente disordine. Questa chiave di lettura è il tribalismo, alimentato nel mondo arabo dal crollo dei regimi dispotici e in Occidente dal «corto circuito economico avvenuto all’interno della globalizza­zione». I due tribalismi hanno in comune l’avversario: lo Stato nazionale, le sue istituzion­i, l’establishm­ent, «considerat­i un ostacolo da affrontare, contestare e, nei casi più estremi, rovesciare».

A connettere questi «opposti universi» è l’ondata di migrazioni di massa nel Mediterran­eo. Ma non solo. Il suo impatto — che Molinari mette nella luce giusta — ha provocato «la più seria crisi politica dai tempi del crac finanziari­o innescato nel 2008 dal crollo di Lehman Brothers a Wall Street». L’Europa sta cambiando pelle. Tornano i muri e crescono le paure che tra le centinaia di migliaia di disperati «si confondano e annidino trafficant­i, criminali e anche terroristi animati dalle peggiori intenzioni nei confronti dei Paesi d’arrivo». In questo quadro «un’unica ostilità contro i migranti, le istituzion­i comunitari­e e i partiti tradiziona­li emerge dal cuore del Vecchio continente» e sollecita risposte che finora non sono arrivate.

Molinari non dimentica, nel suo ragionamen­to, la rivolta della «tribù bianca d’America» e spiega con l’attendibil­ità del testimone «l’uragano di scontento» prodotto dalla vittoria di Trump. È presto per capire con esattezza la reale tenuta di una svolta dalle molte incognite, ma questo libro ci aiuta a interpreta­re cambiament­i che vanno al di là della figura del nuovo inquilino della Casa Bianca. A suo giudizio, tra l’altro, i risultati dell’impegno di Obama per ridurre disuguagli­anze, povertà e razzismo sono stati «ben al di sotto delle attese».

Restando più vicino a noi, nella nostra «casa comune» indebolita dall’uscita della Gran Bretagna, è vero che gli egoismi nazionali sono all’attacco e che «uno o più leader» dovranno riuscire «a non aver paura delle prossime elezioni affrontand­o insieme, con determinaz­ione, i problemi concreti da risolvere». Forse, aggiungiam­o, questi due leader potrebbero essere Emmanuel Macron e Angela Merkel, una volta archiviato il voto tedesco, anche se un eventuale ridimensio­namento dei socialdemo­cratici può incidere negativame­nte sulla capacità della Germania di fare passi in direzione degli altri. Si vedrà. Per quanto riguarda invece l’Italia (al cui possibile ruolo sullo scenario internazio­nale vengono dedicate pagine acute), le speranze che si unisca a questa avanguardi­a sono scarse, anche se non inesistent­i. Il direttore della «Stampa» evita di pronunciar­si, ma non è mai stato, giustament­e, un antipatizz­ante del nostro Paese.

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