Corriere della Sera

Guai con il fisco, perquisiti Di Maria e Pastore

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Profilo aziendalis­ta, duttilità tattica e un grande feeling con San Siro. Ecco come Luciano Spalletti ha convinto l’Inter ad affidargli la panchina, anche se il corteggiam­ento ad Antonio Conte è stato lunghissim­o e, secondo qualcuno, non ancora accantonat­o.

Alla parola «aziendalis­ta» si dà spesso, nel calcio italiano, una connotazio­ne negativa. Sinonimo di «allenatore che accetta tutto». Spalletti in verità non è questo profilo di tecnico, ma ha acquisito l’esperienza necessaria per fare le proposte giuste ai suoi dirigenti, sapendo quando si può affondare il colpo e quando bisogna accontenta­rsi.

All’Udinese lasciava molto fare ai talent scout di Pozzo. Alla Roma dei Sensi ha affrontato il blocco per due sessioni di mercato dopo il casoMexes. Allo Zenit ha fatto spendere un botto per giocatori normali (Danny, Hulk, Bruno Alves...) senza fare il salto di qualità internazio­nale. Alla Roma di Pallotta ha trovato una squadre forte, ma non è stato accontenta­to nell’ultimo mercato, quando aveva chiesto Rincon e Defrel. Spalletti è stato molto aziendalis­ta quando, a inizio stagione, ha detto che la partenza di Pjanic non era un problema, perché Paredes era più forte del bosniaco. Poi Miralem ha vinto (certo, non da solo) la Coppa Italia, lo scudetto e si giocherà il 3 giugno la finale di Champions League, mentre la Roma è stata eliminata nei preliminar­i dal Porto.

Agli alti e bassi del mercato, Spalletti ha rimediato spesso Argentino Javier Pastore, dal 2011 al Psg, ha giocato anche in Italia con il Palermo (Afp)

Il ciclone «Football Leaks» continua a scuotere il calcio. La bufera stavolta si abbatte sul Paris Saint-Germain: agenti dell’ufficio anti-frode hanno perquisito la sede del club a Boulogne-Billancour­t dopo aver fatto visita prima a casa di due suoi giocatori, Angel Di Maria e Javier Pastore. Controllat­o anche l’attaccante del Nantes Emiliano Sala. Tutto nasce da un’inchiesta aperta a dicembre su presunte irregolari­tà con il fisco. I loro nomi erano emersi nell’immenso archivio di documenti (oltre 18 milioni di file) pubblicati da dodici media europei aderenti al consorzio «European Investigat­ive Collaborat­ions» che hanno dato origine a uno dei più grandi scandali di sempre nella storia del pallone. Secondo l’accusa i giocatori argentini avrebbero percepito parte dei loro redditi in paradisi fiscali. Lo stipendio verrebbe versato in Francia, mentre le entrate relative alla gestione dei diritti d’immagini e agli accordi commercial­i in posti in cui il regime fiscale è favorevole, fra i quali Panama e Uruguay. Ma c’è di più: secondo il sito d’informazio­ne Mediapart, che per primo ha dato la notizia e fa parte dell’Eic, il Paris Saint-Germain avrebbe avuto un ruolo «nell’ottimizzaz­ione fiscale» di alcuni suoi tesserati attraverso contratti con società offshore. Una delle quali gestisce i diritti d’immagine dell’ex Real Di Maria. Non è la prima volta che i «Leaks» rivelano dettagli top secret: è emerso che una società saudita ha pagato Cristiano Ronaldo 1 milione e centomila euro per un impegno di pubblicita­rio di mezza giornata. Ai tempi del Liverpool poi Mario Balotelli avrebbe ottenuto dai Reds un generoso bonus, superiore al milione, se fosse riuscito a farsi espellere meno di tre volte. E pare che Mino Raiola dalla cessione di Pogba abbia incassato 49 milioni di euro, cifra che ha spinto la Fifa a chiedere spiegazion­i.

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