Corriere della Sera

Valentino, Gigi e Pupi ritorno nella casa dei padri

Le maniche di Mazzola, i sorrisi di Meroni, i tiri di Pulici

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La tribuna del nuovo Filadelfia, che sorge là dove il Toro giocò 100 partite senza subire sconfitte, dal 17 gennaio 1943 al 6 novembre 1949: 89 vittorie, 11 pareggi, 363 gol fatti e 80 subiti granata, con i sacerdoti del tifo che insegnano ai piccoli adepti la Sacra Formazione, da pronunciar­e rigorosame­nte senza tirare il fiato — Bacigalupo­BallarinMa­rosoGrezar­RigamontiC­astigliano­MentiLoikG­abettoMazz­olaOssola — finendo l’invocazion­e con un «amen e juvemerda» che alla mia coscienza di bambino non suona affatto blasfemo. È una carezza ruvida sulla testa da parte di capitan Ferrini all’uscita degli spogliatoi. È un signore col foulard granata che mi spiega i rudimenti di storia dell’arte: la basilica di Superga fu costruita da un certo Juvarra — il cui cognome non a caso cominciava per Juv — allo scopo di farci cadere sopra l’aereo del Toro. Il Fila è un giovane attaccante in castigo che calcia palloni pieni di rabbia contro i muri del cortile finché uno gli colpisce il naso e lui si lascia andare sfinito sul selciato. Ma il Fila siamo anche noi bambini che gli gridiamo: «Non mollare, Pupi!». Lui si asciuga una goccia di sudore che sembra una lacrima, si rialza e diventa per sempre Puliciclon­e. Il Fila sono le fughe da scuola, il sabato prima del derby, per vedere Claudio Sala mentre prova le sue micidiali punizioni a foglia morta. È la stanza dei trofei dove comanda l’avvocato Cozzolino, il grande sacerdote del tempio, che impartisce lezioni di granatismo: «Le squadre sono come le persone. Nessuna può rinnegare la propria storia troppo a lungo. Prima o poi succede qualcosa che ti fa tornare là da dove vieni».

Il Fila è la sera dello scudetto, la gioia assoluta che già mentre la vivi all’ombra di quei muri scrostati ti sembra un ricordo da rimpianger­e. È il ritorno in pullman dopo una trasferta finita male, con i tifosi che scendono a testa bassa, ma si danno appuntamen­to per quella successiva. È il mio battesimo sul lavoro, una sera La messa di don Aldo davanti ai ruderi, i bimbi che corrono sul campo ripulito d’autunno di tanti anni fa. Attraverso il cortile deserto e busso tremebondo alla porticina degli spogliatoi. Mi viene ad aprire Gigi Radice in persona e accappatoi­o bianco. «Buonasera mister, sono un giornalist­a...» «Ostia che paura! Vieni dentro, ragazzo, altrimenti muori di freddo» e mi fa entrare dove neanche mio padre aveva potuto guidarmi mai, negli spogliatoi in cui si cambiava capitan Valentino e ora ci sono Leo Junior e Dossena in mutande che incredibil­mente accettano di farsi intervista­re da me.

Il Fila è un ammasso di sterpaglie e un ricovero per gatti e barboni, da quando sul finire del millennio venne abbattuto con la promessa mendace di una ricostruzi­one immediata. È il ferragosto in cui morì mio padre. Il carro funebre arrivò all’angolo del vecchio stadio, ormai ridotto allo scheletro di una balena Puliciclon­e Paolino Pulici La cerimonia dalle 18 su Torino Channel, canale 234 di Sky

spiaggiata. Il conducente aveva già messo la freccia quando gli chiesi: «Senta, papà ha passato la sua giovinezza lì dentro. Glielo lasciamo salutare un’ultima volta?». L’autista del carro era dei nostri e disse «sì». Così facemmo quel giro d’onore intorno alle macerie. Intanto io recitavo la Sacra Formazione, tirando il fiato due volte: ero fuori allenament­o. Ci aggiunsi «amen» e quell’altra parolina. Poi finalmente cominciai a piangere.

Il Fila è don Aldo che dice messa davanti allo spuntone della tribuna. Sono i bimbi che la mattina della Marcia dell’Orgoglio Granata corrono sul campo ripulito dagli «angeli del Filadelfia» mentre i loro genitori li inseguono con sguardo beato: «Vi rendete conto che qui sopra ci giocava il Grande Torino!».

Questo è il mio Fila, ma sono sicuro che assomiglia ai vostri. Perché ciascuno di noi conserva in fondo al cuore la memoria di una casa del Padre a cui desidera fare ritorno. La sua Itaca. Il punto di partenza che in ogni grande romanzo di avventure è anche il punto di arrivo. Mi risuonano nel cuore le parole di Cozzolino: «Le squadre sono come le persone. Nessuna può rinnegare la propria storia troppo a lungo. Prima o poi succede qualcosa che ti fa tornare là da dove vieni». Ecco, qualcosa è successo. Papà, siamo tornati a casa.

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Capitano Valentino Mazzola

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