Rinasce il Filadelfia anima del Torino
Cairo: «Qui il Toro ha vinto 6 dei suoi 7 scudetti e spero ci restituiscano l’8°»
Il luogo della memoria è tornato un luogo di vita: dove c’erano rovine, polemiche e senso della fine ora ci sono di nuovo carne, sorrisi e pallone, e dunque finalmente un presente e un futuro. Il Filadelfia 3.0 non è l’impianto di una volta — tanti hanno sognato di ricostruirlo uguale nei vent’anni trascorsi dall’abbattimento a oggi, ma si trattava solo di illusioni — però emoziona comunque: ci sono un bel campo verde con una grande tribuna da 2 mila posti che diventano 4 mila con le scarne gradinate sugli altri tre lati; i dodici pennoni della memoria dedicati al Grande Torino, a Ferrini e Meroni, ai campioni d’Italia del 1928 e del 1976; i resti di due curve, testimonianze dell’impianto che fu; un altro campo oltre la tribuna; e, fuori, la scritta antica sul muro «ingresso popolari laterali militari balilla» e la cornice della collina e dei palazzi imbandierati granata.
Il popolo del Toro sciama al tempio per la pre-inaugurazione e l’espressione condivisa è quella di chi non ci crede ancora. «Abbiamo temuto tante volte di non farcela», racconta sotto il sole bollente Cesare Salvadori, presidente della Fondazione Stadio Filadelfia. Ricorda che il «vergognometro toccò il suo massimo» quando il Comune prima dell’Olimpiade voleva impacchettare le macerie per non fare brutta figura e saluta «i gufi che forse oggi saranno delusi». Il retrogusto amaro sta nel Dna del Torino e anche nella storia di questa ricostruzione
Salvadori Abbiamo temuto tante volte di non farcela. Oggi, forse, i gufi saranno delusi
Cravero Il Filadelfia non è solo un luogo fisico, è anche i racconti e l’aria che ci respiri
che al momento è incompleta perché mancano ancora il museo, la sede del club e la foresteria per i giovani. Ma quello che conta adesso è lasciarsi andare al flusso, palleggiare senza pudore fra presente e passato, avendo bene in mente, come dice un grande ex capitano come Roberto Cravero, che «il Filadelfia non è solo un luogo fisico ma i racconti e l’aria che ci respiri».
Al calare del sole, dopo che a centrocampo è stata deposta una corona di fiori in memoria del Grande Torino, sul prato sfilano vecchi e nuovi torinisti, la sindaca Chiara Appendino passa a salutare ma se ne va senza parlare e la morale della giornata la tira il presidente Urbano Cairo: «Il merito di tutto questo non è di una persona sola, ma di tutti i tifosi che negli anni hanno alzato un cortina di protezione unica e della Fondazione Filadelfia. Qui il Toro ha vinto sei dei suoi sette scudetti: abbiamo già avviato la richiesta in Federazione per ottenere l’ottavo che ci è stato revocato».
Oggi si taglia ufficialmente il nastro, sabato si disputerà un torneo di tredicenni, poi in futuro al Fila giocherà la Primavera e si allenerà la prima squadra. Tutti coloro che arriveranno qui da oggi in poi faranno bene a perdere qualche minuto e camminare per la tribuna dove ci sono 600 seggiolini con le targhe dei sottoscrittori che con un’offerta di 1.000 o 2.000 euro hanno voluto stare qui per sempre. Pochi, secondo la Fondazione, e allora Cairo in mezzo al campo prima si impegna ad acquistarne 500, poi invita Mihajlovic e la squadra di oggi a fare un’offerta: si va dai 100 dello sponsor Beretta, ai 20 di Ljajic e Iturbe, ai 15 del tecnico, ai 10 di Belotti: il totale fa 777 mila euro.
Ognuno potrà, se vorrà, scrivere qualcosa su una targa personale. Quelle già presenti raccontano di «eternità di una fede», ringraziano una madre «per avermi fatto granata», ricordano un nonno che «mi ha preso per mano» e ha portato il nipote allo stadio. Parole della gente del Toro, ma che ogni vero tifoso al mondo può capire, sentire e fare sue. Ecco perché, una volta tanto, l’espressione patrimonio collettivo non è retorica: questo Filadelfia è risorto per tutti.