Olivier Roy: è il mio jihadista nichilista Non ha un progetto, vuole solo la morte
«In occasione di ogni grande attentato c’è sempre chi elabora una complessa teoria per spiegare a posteriori perché lo Stato islamico ha voluto colpire Parigi o Bruxelles, Berlino o Manchester, ma è un’assurdità. L’Isis colpisce semplicemente dove e quando ha qualcuno in grado di entrare in azione, l’appello al jihad è globale e non fa distinzione tra modello assimilazionista francese o multiculturale anglosassone. I terroristi islamici colpiscono dalla Danimarca alla Turchia». Lo studioso francese Olivier Roy ha sul terrorismo jihadista una posizione originale, e non da oggi. Non aderisce alla visione di chi lo giudica come l’esito inevitabile di una religione violenta che ha fallito l’incontro con la modernità, e neppure giudica gli attentati come una possibile risposta a sopraffazioni post-colonialiste dell’Occidente. La sua teoria sul nichilismo come motore che spinge tanti giovani alla morte propria e altrui è spiegata nel libro Generazione ISIS - Chi sono i giovani che scelgono il Califfato e perché combattono l’Occidente, in uscita in Italia il 1° giugno (Feltrinelli).
L’attentatore di Manchester corrisponde al suo identikit?
«Mi pare proprio di sì. Ventidue anni, origini libiche ma nato in Gran Bretagna quindi immigrato di seconda generazione, non sostenuto dall’islam dei padri e neanche salafita, cioè era un musulmano che non frequentava una moschea tradizionalista e integralista. Gli altri musulmani nella sua moschea lo consideravano una testa calda. Sembra il personaggio del mio libro, perché l’esito cercato è la morte, anche la propria. Manca qualsiasi progetto. Avrebbe potuto farsi saltare a Madrid o in Francia, la società intorno in fondo conta poco».
Ma forse il progetto politico ce l’hanno i suoi mandanti, che possono avere scelto di colpire ora la Gran Bretagna per influenzare le elezioni dell’8 giugno.
«Io non credo. Lo Stato islamico non fa differenza tra Labour e conservatori. E l’attentato del 21 aprile sugli Champs Élysées non ha avuto alcuna conseguenza sulle elezioni francesi». Il giovane Salman Abedi ha ucciso altri giovani. Sono due espressioni, la prima ovviamente perversa e ignobile, della modernità?
«È così. Se quel ragazzo terrorista ha potuto colpire suoi coetanei o quasi è perché conosce quella cantante e conosce il suo pubblico. Conosce la cultura giovanile occidentale, uccide questa cultura e uccide se stesso allo stesso tempo. Purtroppo anche questo attentatore corrisponde bene al paradigma del jihadista nichilista. Non c’è un progetto se non la morte». C’è un legame con le difficoltà dello Stato islamico in Siria e Iraq?
«Non necessariamente. La novità è che lo Stato islamico oggi rivendica tutto e in fretta, prima era molto più cauto. Non sappiamo ancora se Salman Abedi era veramente in contatto con i dirigenti dello Stato islamico o se si tratta di una rivendicazione a posteriori».
Lei sottolinea che l’attentatore di Manchester, come molti suoi compagni, non era salafita. Molti invece ritengono che il salafismo come forma di integralismo islamico e il terrorismo jihadista siano vasi comunicanti.
«Non esonero il salafismo dalle sue responsabilità, che però mi pare siano di altro tipo. Rende la convivenza più complicata, certamente, ma a differenza di quel che possa sembrare al limite può fornire un quadro di regole rigide capaci di allontanare un giovane dal nichilismo e quindi dal terrorismo. Siamo soliti accusare il salafismo di tutti i mali, eppure condanna il suicidio come usurpazione della volontà divina. Codifica i comportamenti, regola tutto, compreso l’uso della violenza. Il salafita non va alla ricerca della morte. Il nichilista sì, e trova nel jihad l’unica causa, l’unica ideologia di ribellione presente sul mercato».
Che cosa pensa della decisione del presidente francese Macron di prolungare ancora lo Stato di emergenza?
«Da un punto di vista politico è comprensibile, aiuta a rassicurare la popolazione. Per il resto a mio parere non serve a granché».