Corriere della Sera

«Noi imam denunciamo gli estremisti E siamo orgogliosi di questa scelta»

- (Reuters)

Qualche mese fa l’aveva detto proprio al «Corriere»: il terrorismo jihadista sta nell’«album di famiglia» degli islamici. Ora, dopo l’ennesima strage di innocenti, non è forse tempo di strappare quelle pagine dell’album?

«Sì, e lo stiamo facendo», dice Izzedin Elzir, imam di Firenze e capo dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane, la più forte e ramificata organizzaz­ione musulmana sul nostro territorio.

Mi spieghi come.

«Noi imam siamo orgogliosi di scomunicar­e gli atti di questi criminali».

Gli atti, non le persone?

«Nella nostra religione non c’è bisogno d’una mia benedizion­e per entrare o restare. Ma chi pensa di guadagnars­i il paradiso con simili crimini andrà dritto all’inferno, dico io».

Perché non emettere una fatwa?

«La nostra fatwa l’abbiamo già emessa nel 2006, nel documento dei musulmani d’Italia contro il terrorismo».

La nostra reazione si può vedere nei blitz anti terrorismo che dal Nord al Sud d’Italia vanno a segno anche grazie agli imam Siamo orgogliosi di scomunicar­e gli atti di questi criminali: chi pensa di guadagnare il paradiso con simili crimini andrà all’inferno

Non in molti se ne sono accorti, ammettiamo­lo... Comunque in Italia siete un milione e 800 mila: possibile che non riusciamo mai a vedere centomila musulmani in corteo contro i terroristi?

«Noi siamo italiani. E manifestia­mo con i nostri concittadi­ni italiani. Io non voglio fare una manifestaz­ione di un solo colore religioso, la trappola dei terroristi è separarci, metterci in un ghetto».

Abbiamo censito più di 1.200 luoghi di culto islamici in Italia, dalle moschee alle cantine, e mandato tutto al nostro ministro Minniti

L’imam della moschea frequentat­a da Salman Abedi, l’assassino di Manchester, racconta che un giorno, facendo un sermone anti Isis a duemila fedeli, notò che il «gruppetto» di Salman era in disaccordo. Quanto pesano da voi questi «gruppetti»?

«Non pesano niente. Lo prova il coraggio con cui da noi parlano quasi, voglio dire quasi, tutti gli imam. Noi dobbiamo fare rete con le forze dell’ordine e i giudici».

Lei ha sterzato parecchio verso l’integrazio­ne la linea dell’Ucoii in sette anni. Mai avuto problemi?

(ride) «Eeeeehh... grazie a Dio, no. Certo, non tutti accettano Albert Square Un signore musulmano, Sadiq Patel, conforta una signora ebrea, Renee Rachel Black, seduta accanto ai fiori e i bigliettin­i di tributo alle vittime di Manchester la mia linea, ma siamo maggioranz­a. Poi qualcuno mi guarda male, ma fa parte delle...differenze culturali della nostra fede».

Se lei è sincero, e non lo metto in dubbio, si pone come bersaglio, lo sa?

«Lo so. Ma bisogna vivere con la testa in su. E nella paura non c’è vita».

Mai minacciato?

«Beh, qualche lettera... ma non da musulmani».

Lei ha più volte invitato a denunciare gli estremisti. Ma è mai successo davvero?

«Certo, e può vederlo nei blitz antiterror­ismo che da Nord a Sud d’Italia vanno a segno anche grazie agli imam».

Come quello di Venezia contro la cellula che voleva far saltare il Ponte di Rialto?

(esita a lungo) «Non posso citare casi, per rispetto della sicurezza nazionale... e anche dei nostri imam. Beh, un caso sì, è già noto: l’imam di Lecco ha fatto arrestare un estremista che voleva coinvolger­lo in un progetto violento. In generale le assicuro che c’è sul territorio molta collaboraz­ione con lo Stato e ne siamo fieri».

Avete fatto un censimento?

«Sì, ci abbiamo messo un anno: abbiamo censito più di 1.200 luoghi di culto islamici in Italia. Sei moschee con tutte le caratteris­tiche architetto­niche e poi garage, capannoni, cantine. Abbiamo mandato copia al nostro ministro».

Il... vostro ministro?

«Minniti, il ministro degli Interni».

Quale scenario di radicalizz­azione preoccupa di più?

«Il web. Ma lì purtroppo possiamo poco. Poi le carceri. E lì facciamo molto».

Come?

«Il Dap, l’amministra­zione penitenzia­ria, ci segnala le carceri più a rischio e noi mandiamo i nostri imam a predicare. Dal 1° febbraio ne abbiamo mandati quindici, in sei carceri, da Milano a Firenze. E ci chiedono di aumentare il numero di interventi».

Però ci sono sacche pericolose nelle periferie. Tante famiglie islamiche tolgono da scuola le figlie, impongono loro il velo con la forza...

«Noi chiediamo ai presidi di mettersi in contatto coi nostri imam dove ci sono questi problemi. Gli imam spiegheran­no alle famiglie che la religione non chiede questo, che questa è ignoranza».

Qual è per lei il confine tra l’accettazio­ne dei valori e l’obbedienza alla legge?

«Alle leggi si obbedisce e basta. Quanto ai valori, beh, il nostro valore è la Costituzio­ne italiana: noi siamo italiani. Quando poi cominciamo a parlare di... vestiti e cibo, entriamo in un minestrone che non aiuta nessuno. Del resto, un cattolico non ha forse valori diversi da un comunista?».

La lettura del Corano si può riformare?

«Noi, europei e italiani di fede islamica, abbiamo proprio questo compito, di riprendere il riformismo interno, perché qui possiamo discutere in libertà e democrazia».

Lei ha firmato con convinzion­e il patto nazionale di cittadinan­za...

«E sta in piedi bene. Venerdì scorso ho verificato che una ventina di nostri imam, trasmetten­do il sermone su Facebook, usavano sia l’arabo che l’italiano: questa, vede, è trasparenz­a, uno dei pilastri del patto. Le nostre moschee sono aperte. Ora servono un’intesa e una legge».

Il riconoscim­ento della vostra religione, eh?

«L’ultimo passo dello Stato, sì».

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