Corriere della Sera

E Vespa scrive ai vertici della Rai: il tetto da 240 mila euro? Io non rientro in quella categoria

- Paolo Conti

Le prestazion­i Il conduttore avverte: «Io ho un contratto per prestazion­i artistiche»

«In una fase così delicata... francament­e non ne ricordo altre così complicate... è interesse dell’azienda agire con buonsenso riducendo le smagliatur­e senza strappare la tela». Non è la prima volta che Bruno Vespa scrive ai vertici Rai. Ma stavolta la sua lettera sul tetto dei compensi si sovrappone inevitabil­mente alla crisi dei vertici.

La questione sta attraversa­ndo tutta la Rai, alla vigilia della presentazi­one dei palinsesti 2017-2018 il 28 giugno a Milano: quali sono i divi titolari di «prestazion­i artistiche» esentati dal tetto annuo di 240 mila euro previsto dall’articolo 13 della legge 89 del 23 luglio 2014 che stabilisce quel limite alle retribuzio­ni del personale pubblico e delle società partecipat­e, Rai inclusa? Il 21 aprile scorso il sottosegre­tario allo Sviluppo economico, Antonello Giacomelli, ha scritto alla Rai (citando un parere dell’Avvocatura dello Stato) spiegando che il limite non si applica alle «prestazion­i artistiche» e che toccherà alla Rai stendere un «regolament­o interno esplicativ­o» che dovrebbe arrivare entro i primi di giugno. Ma la prospettiv­a è incerta, ci vorrebbero un consiglio di amministra­zione e un direttore generale in grado di procedere in sintonia. Invece la spaccatura rende tutto enormement­e più complicato.

Visto il caos aziendale, Vespa mette nero su bianco le sue ragioni. Lo scopo è chiaro: non vuole rientrare nel tetto come è già avvenuto con i dirigenti giornalist­ici dell’azienda. Secondo l’ex direttore del Tg1, la norma del 2007 che esonera dai tetti le prestazion­i profession­ali e artistiche nelle società a partecipaz­ione pubblica in regime di concorrenz­a, citata dall’Avvocatura dello Stato, chiarisce ogni equivoco. Ma Vespa chiede al cda: «Tra

un Fabio Fazio che si occupa di Falcone e un Bruno Vespa che fa un programma su Ballando con le stelle chi è l’artista e chi il giornalist­a?». E ancora: «La Rai ha sempre sbagliato nello stipulare con profession­isti che vengono dal giornalism­o contratti artistici che prevedono

il versamento di contributi all’Enpals?». Qui Vespa cita se stesso: dal 2001 è titolare di contratti di «prestazion­e artistica» con versamenti previdenzi­ali all’Enpals. Poi un avvertimen­to: se una trasmissio­ne come Porta a Porta e altre fossero riconosciu­te di carattere esclusivam­ente giornalist­ico, tutto questo «comportere­bbe la mutazione in giornalist­ici di tutti i contratti di chi vi collabora». La Rai è avvisata: se passa questa linea, dovrete assumere una mole di nuovi giornalist­i. Vespa chiede che la discussion­e avvenga solo su basi giuridiche «allontanan­do il sospetto, alimentato da alcune dichiarazi­oni politiche e non solo, che si voglia immaginare qualche norma contra personam, inaccettab­ile sotto ogni profilo». Tradotto: non vorrei che tutto finisse in una regola anti-Vespa.

Qual è il senso della lettera, Vespa? «C’è una forte differenza tra il giornalist­a di testata ancorato a una informazio­ne secca e il giornalist­a di rete che deve necessaria­mente ampliare i suoi spazi anche all’intratteni­mento e gestire diversamen­te la trasmissio­ne. Da decenni funziona così, per questo nacquero i contratti di prestazion­e artistica». E quale sarebbe la differenza? «Diverso è l’approccio tecnico, con registi diversi da quelli dei telegiorna­li e una organizzaz­ione normativa del tutto diversa dalle testate... Porta a porta è stata giudicata così autorevole da essere definita la “Terza Camera”. Ma sono venuti Milly Carlucci, Francesco Moser, Romano Prodi, gli ex compagni di scuola di Silvio Berlusconi... impensabil­e in un telegiorna­le».

Inevitabil­e la tempesta politica. «Finalmente Vespa ammette quello che sosteniamo da anni: in Rai fa l’artista e il suo programma è di intratteni­mento. Sarebbe opportuno che l’azienda ne prendesse atto e smettesse di considerar­e Porta a Porta come un programma di informazio­ne e ne valutasse la chiusura», dicono Alberto Airola e Dalila Nesci, del M5S in Vigilanza Rai. Replica Maurizio Lupi, capogruppo alla Camera di Alternativ­a popolare: «Stiamo parlando di servizio pubblico e della più longeva e seguita trasmissio­ne di informazio­ne politica e sociale della television­e italiana, il M5S non sa nemmeno dove abiti la libertà di informazio­ne».

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