In Paladino rivivono i segni della Val Camonica
Un viaggio che dal sito dell’arte rupestre riannoda un filo nella mostra in città
per riflettere su ciò che lega i segni utilizzati all’alba dell’uomo e le espressioni pittoriche, scultoree e visive della modernità. Partendo dalla più grande collezione di arte rupestre del mondo per arrivare alle opere di Mimmo Paladino e alla sua mostra diffusa, che ha da poco invaso la città.
Lungo il medio e alto corso dell’Oglio sono state ad oggi censite 180 località e 2.000 rocce istoriate. Accanto a questa messe ricchissima c’è l’arco di tempo di 13 mila anni che ha visto all’opera gli antenati-scalpellini. Anche questo è un fatto unico, che però complica la vita agli archeologi (e ai turisti) perché spesso le scene si sovrappongono. Le raffigurazioni trattano aspetti della spiritualità e momenti della vita quotidiana: scene di culto, danze, lavoro agricolo e caccia.
Messaggi preziosissimi in quanto ad oggi, degli antichi Nel verde Nel Parco Archeologico delle incisioni rupestri di Naquane, in Val Camonica con l’Alfa Stelvio, compagna di viaggio de Il Bello dell’Italia (con Eni e Intesa) verso le 18, un altro momento importante, una «narrazione teatrale» dell’economia: coordinati dal giornalista Massimiliano Del Barba del Corriere, dieci startupper si racconteranno come in uno spettacolo drammaturgico — momento questo seguito da un colloquio con Roberta Zerbi, head of Alfa Romeo e Lorenzo Maternini, vicepresidente di Talent Garden. Infine, dopo una conversazione di Flavio Vanetti del Corriere con il campione di scherma Andrea Cassarà (con il coinvolgimento anche dei giovani allievi della sua «accademia»), la serata si riaprirà alle 21 con il live di Jack Savoretti, cantautore dalle radici italiane. Il suo pop è forte e Camuni, non ci è pervenuto altro. Sparute tracce di insediamenti, nessuna sepoltura (fatto insolito) e pochi cocci. Forse perché gli studiosi sono stati «viziati» dall’abbondanza lasciata alla luce del sole, e sottoterra hanno scavato ancora poco. Una delle meraviglie, ammirabile sui massi raccolti al Museo di Capo di Ponte, sono però i ritratti-stele di uomini e donne dell’età del reame. Probabilmente la più antica «statuaria» rinvenuta in Europa. Su di un supporto ben delimitato ecco un copricapo appena accennato, un lungo naso, grandi occhi a cerchi concentrici, cerchi più grandi a individuare il seno, un’ampia collana con pendenti. Il tutto smontato e ricomposto secondo un’estetica precisissima, che rimbalza nel contemporaneo. Inutile percorrere l’infinita galleria di artisti che si sono abbeverati a questa fonte. Il parallelo più comodo (un’ora di auto più a sud, centro di Brescia) è quello di Mimmo Paladino che con una settantina di opere attende il viandante quasi ad ogni angolo, dalla geometrica piazza Vittoria agli ambienti segreti di Santa Giulia. In verità la passeggiata a cui l’artista invita è assai più complessa, perché Paladino attinge anche a elementi greci, romani, rinascimentali, moderni. Che sono poi quelli della sua vita. Ma comunque si guardi a elmi, cavalieri, teste o agli elementi più astratti della sua ricerca (inclusi i solidi aristotelici che folgorarono, già 40 anni fa, il pittorematematico Lucio Saffaro) lo spirito dei primitivi, da Naquane ad Altamira, ci parla con veemenza.