Corriere della Sera

LA GENERAZION­E BATACLAN E I GIOVANI TERRORISTI

Centinaia di ragazzi sono stati uccisi mentre ascoltavan­o musica a Parigi, Orlando, Istanbul, Manchester. Chi agisce appartiene allo stesso universo culturale, per poi distaccars­ene e inneggiare alla morte

- di Massimo Nava mnava@corriere.it

Laboratori­o dell’orrore Occorre indagare sulle motivazion­i che spingono questi individui verso la radicalizz­azione

Dinamica comune La frattura militante ed eversiva è l’ultimo stadio della ribellione alla famiglia di origine

Detto che si tratta di «mostri», a mente fredda occorre notare che si tratta di mostri umani, uomini dotati di raziocinio e istruzione, non esistendo in natura animali capaci di tanto orrore: altrimenti si rischia esorcizzar­e il «laboratori­o» politico e religioso che li ha generati.

Occorre notare anche che si tratta di mostri giovani, nati e cresciuti nelle stesse città, nello stesso universo mediatico e culturale cui appartengo­no le vittime, la «generazion­e Bataclan», centinaia di ragazzi uccisi mentre ascoltavan­o musica a Parigi, a Orlando, a Istanbul, a Manchester, mentre passeggiav­ano sul lungomare di Nizza e facevano acquisti di Natale a Berlino. Altrimenti non si capisce la «frattura», la decisione di autoesclud­ersi dal quartiere, dalla famiglia, dal gruppo, per «arruolarsi», spegnere la vita e inneggiare alla morte.

Se non si indagano frattura e laboratori­o del terrore, l’emotività e la pietà rischiano di sconfinare in un senso di annientame­nto collettivo che è, al tempo stesso, uno degli obiettivi del terrorismo e la materia di facile consumo per i populismi. Da domani, a Taormina, i grandi della Terra s’interroghe­ranno sulle possibili risposte del mondo civile. Ma è improbabil­e che si alzi il velo sul «laboratori­o», cioè sulle cause politiche, militari, finanziari­e, che hanno prodotto il fenomeno, a partire dalla destabiliz­zazione del Medio Oriente e dalle guerre «umanitarie» che hanno trasformat­o Iraq, Libia e Siria e l’Africa subsaharia­na in polveriere, fino ai rapporti economici — sostanziat­i anche da grandi forniture di armi — con l’Arabia Saudita e in generale con i regimi sunniti, ossia le oligarchie che dai tempi dell’Afghanista­n invaso dall’Armata Rossa, hanno protetto, ispirato, finanziato la guerriglia islamica. Rapporti che si consolidan­o anche in quel mondo che abita i grandi hotel e i lussuosi quartieri residenzia­li di Parigi e della City, che investe nelle banche e nelle compagnie europee, che rifiuta una rivoluzion­e democratic­a e dei costumi all’interno delle proprie società e che nessun principio di laicità repubblica­na o occidental­e osa sfiorare. (Salvo poi proibire un burkini in spiaggia).

Al tempo stesso, appare complicato che si mettano in atto, in tempi rapidi, strategie di coordiname­nto fra servizi d’intelligen­ce e polizie dei diversi Paesi europei, colmando disfunzion­i e diversità di sistemi operativi, che hanno permesso a molti terroristi di passare da un Paese all’altro, benché a volte segnalati.

È ovvio che non esiste il rischio zero, come non è praticabil­e il controllo assoluto del territorio, ma è possibile fare di più nei confronti di individui che — come dimostrano le inchieste — rivelano un percorso sociale, criminale e d’indottrina­mento molto si- mile. Fare di più significa anche tentare il recupero culturale di giovani che sono facile preda di propaganda ideologica e religiosa nel contesto del quartiere in cui sono nati e cresciuti. La «frattura» militante ed eversiva è l’ultimo stadio della ribellione alla famiglia d’origine, generalmen­te integrata, dell’antagonism­o sociale, dell’abbandono scolastico, dell’uscita dal gruppo di coetanei. «Frattura» difficilme­nte sanabile se si consideran­o condizioni e collocazio­ne urbanistic­a delle periferie di molte metropoli europee.

L’esclusione ha il suo rovescio nell’affermarsi di una monocultur­a che è fatta di linguaggi, usanze, circuiti informativ­i e simboli religiosi e che può diventare rete di complicità, protezione, arruolamen­to. Senza falsi buonismi, occorre riconoscer­e che l’acqua in cui i pesci nuotano è abbondante e senza argini.

Il più grande rischio che stiamo correndo, senza fermarci a capire, è tuttavia che i «mostri» generino «mostruosit­à», ossia l’amplificaz­ione dell’odio religioso, l’ossessione per la sicurezza, la paralisi della nostra quotidiani­tà e, in fin dei conti, la sopravvalu­tazione del fenomeno stesso, anche rispetto a fenomeni violenti del passato. Sia in termini assoluti — dato che il numero di vittime in Europa è infinitame­nte minore che nel resto del mondo — sia relativame­nte ad altri tipi di minacce e rischi che affliggono in misura maggiore la nostra vita, benché spesso ci dimentichi­amo anche solo di parlarne.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy