LA GENERAZIONE BATACLAN E I GIOVANI TERRORISTI
Centinaia di ragazzi sono stati uccisi mentre ascoltavano musica a Parigi, Orlando, Istanbul, Manchester. Chi agisce appartiene allo stesso universo culturale, per poi distaccarsene e inneggiare alla morte
Laboratorio dell’orrore Occorre indagare sulle motivazioni che spingono questi individui verso la radicalizzazione
Dinamica comune La frattura militante ed eversiva è l’ultimo stadio della ribellione alla famiglia di origine
Detto che si tratta di «mostri», a mente fredda occorre notare che si tratta di mostri umani, uomini dotati di raziocinio e istruzione, non esistendo in natura animali capaci di tanto orrore: altrimenti si rischia esorcizzare il «laboratorio» politico e religioso che li ha generati.
Occorre notare anche che si tratta di mostri giovani, nati e cresciuti nelle stesse città, nello stesso universo mediatico e culturale cui appartengono le vittime, la «generazione Bataclan», centinaia di ragazzi uccisi mentre ascoltavano musica a Parigi, a Orlando, a Istanbul, a Manchester, mentre passeggiavano sul lungomare di Nizza e facevano acquisti di Natale a Berlino. Altrimenti non si capisce la «frattura», la decisione di autoescludersi dal quartiere, dalla famiglia, dal gruppo, per «arruolarsi», spegnere la vita e inneggiare alla morte.
Se non si indagano frattura e laboratorio del terrore, l’emotività e la pietà rischiano di sconfinare in un senso di annientamento collettivo che è, al tempo stesso, uno degli obiettivi del terrorismo e la materia di facile consumo per i populismi. Da domani, a Taormina, i grandi della Terra s’interrogheranno sulle possibili risposte del mondo civile. Ma è improbabile che si alzi il velo sul «laboratorio», cioè sulle cause politiche, militari, finanziarie, che hanno prodotto il fenomeno, a partire dalla destabilizzazione del Medio Oriente e dalle guerre «umanitarie» che hanno trasformato Iraq, Libia e Siria e l’Africa subsahariana in polveriere, fino ai rapporti economici — sostanziati anche da grandi forniture di armi — con l’Arabia Saudita e in generale con i regimi sunniti, ossia le oligarchie che dai tempi dell’Afghanistan invaso dall’Armata Rossa, hanno protetto, ispirato, finanziato la guerriglia islamica. Rapporti che si consolidano anche in quel mondo che abita i grandi hotel e i lussuosi quartieri residenziali di Parigi e della City, che investe nelle banche e nelle compagnie europee, che rifiuta una rivoluzione democratica e dei costumi all’interno delle proprie società e che nessun principio di laicità repubblicana o occidentale osa sfiorare. (Salvo poi proibire un burkini in spiaggia).
Al tempo stesso, appare complicato che si mettano in atto, in tempi rapidi, strategie di coordinamento fra servizi d’intelligence e polizie dei diversi Paesi europei, colmando disfunzioni e diversità di sistemi operativi, che hanno permesso a molti terroristi di passare da un Paese all’altro, benché a volte segnalati.
È ovvio che non esiste il rischio zero, come non è praticabile il controllo assoluto del territorio, ma è possibile fare di più nei confronti di individui che — come dimostrano le inchieste — rivelano un percorso sociale, criminale e d’indottrinamento molto si- mile. Fare di più significa anche tentare il recupero culturale di giovani che sono facile preda di propaganda ideologica e religiosa nel contesto del quartiere in cui sono nati e cresciuti. La «frattura» militante ed eversiva è l’ultimo stadio della ribellione alla famiglia d’origine, generalmente integrata, dell’antagonismo sociale, dell’abbandono scolastico, dell’uscita dal gruppo di coetanei. «Frattura» difficilmente sanabile se si considerano condizioni e collocazione urbanistica delle periferie di molte metropoli europee.
L’esclusione ha il suo rovescio nell’affermarsi di una monocultura che è fatta di linguaggi, usanze, circuiti informativi e simboli religiosi e che può diventare rete di complicità, protezione, arruolamento. Senza falsi buonismi, occorre riconoscere che l’acqua in cui i pesci nuotano è abbondante e senza argini.
Il più grande rischio che stiamo correndo, senza fermarci a capire, è tuttavia che i «mostri» generino «mostruosità», ossia l’amplificazione dell’odio religioso, l’ossessione per la sicurezza, la paralisi della nostra quotidianità e, in fin dei conti, la sopravvalutazione del fenomeno stesso, anche rispetto a fenomeni violenti del passato. Sia in termini assoluti — dato che il numero di vittime in Europa è infinitamente minore che nel resto del mondo — sia relativamente ad altri tipi di minacce e rischi che affliggono in misura maggiore la nostra vita, benché spesso ci dimentichiamo anche solo di parlarne.