Proposta per formare nuovi campioni
Caro Aldo, condivido i contenuti della sua risposta in cui lei sostiene come negli sport di fatica, quali ciclismo e atletica, non abbiamo più voglia di soffrire. Vorrei aggiungere alcuni spunti. Nella corsa ci siamo abituati al dominio dei corridori africani. Eppure l’Italia non ha mai avuto così tanti maratoneti praticanti. All’exploit della corsa amatoriale corrisponde purtroppo un impoverimento dell’attività di vertice. In queste settimane ricorrono 40 anni dai miei record italiani, dai 5.000 all’ora su pista. Roba da preistoria. Eppure quelle prestazioni sono per molti azzurri ancora oggi traguardi irraggiungibili. Non ero un fenomeno e credo che in giro ce ne siano più di ieri. Invece di andare avanti siamo andati indietro. La colpa? Della scuola in primis. Negli anni 60 e 70 era fucina di talenti soprattutto nell’atletica. Erano gli anni del boom economico e per molti giovani correre forte era un po’ come andare a scoprire nuovi mondi. Oggi scarseggia quella sana curiosità di esplorare i nostri limiti fisici e latitano progetti a lunga scadenza. Per invertire la rotta, occorrerebbe una rivoluzione sociale e culturale che Coni e federazioni da soli non possono sostenere. In cui è strategico riportare lo sport in classe. Nel frattempo ricostruiamo le tante scuole di tecnici, una volta vanto della nostra atletica. Altrimenti saremo destinati a scivolare sempre più tra gli ultimi degli ultimi anche nelle classifiche della fatica.
Franco Fava Caro Franco, grazie per il suo intervento. Il discorso non riguarda solo l’atletica. Penso ad esempio al tennis, considerato di solito uno sport da privilegiati, e che in effetti non esige le fatiche quasi disumane del fondo o del ciclismo, ma richiede grande forza nervosa e morale. Il tennis è lo sport più simile al pugilato: è un combattimento, anche se non prevede contatto fisico. Pensi a un atleta come Nadal: non ha i colpi di un Federer, ma ha la tempra del combattente; che emerge non quando va tutto bene, ma quando va tutto male. Purtroppo l’Italia non ha un tennista decente da tempo immemorabile. Ora avremmo Fognini; che ha nella tenuta nervosa proprio il suo principale limite. Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
lettere@corriere.it letterealdocazzullo @corriere.it
Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
il grande sviluppo del Veneto nel dopoguerra ha portato imprenditorialità diffusa, cultura, buon gusto ed etica sociale del lavoro e della solidarietà. Per questo è irritante per noi la cattiva immagine accreditata nei media e in particolare in tv. Il Veneto viene dipinto come grossolano e avido e il nostro dialetto dileggiato come idioma di gente sempliciotta. Ma ci sono fior di trattati internazionali in lingua veneta! Perché siamo ancorati a queste mistificazioni che aumentano il senso di distacco e quindi il desiderio di autonomia? Già siamo scarsamente rappresentati a livello politico, forse perché il carattere veneto è individualista...
Caro Renato,
Lei ha perfettamente ragione. Le esprimo solidarietà da piemontese: la tv e il cinema sono insopportabilmente romanocentrici; se devono mettere in scena un veneto o un piemontese, è sempre un mona, o comunque una caricatura (pensi, se può consolarla, ai bersaglieri di «Noi credevamo» di Martone, o agli juventini di «Vacanze in America» dei Vanzina).
Ovviamente la cattiva rappresentazione dei media è solo la superficie del problema. Considero il Veneto, insieme con la Toscana e la Sicilia, la regione più bella d’Italia. Ha tutto: il mare, la pianura, le colline, le montagne — e che montagne: le Dolomiti —, le città d’arte. E Venezia. Certo lo sviluppo di cui lei parla ha portato anche distruzione del territorio e traffico impossibile. Ma il Veneto «Campagna di Massa Lombarda (Ra): il “grido di dolore” di un immobile». La foto ci è stata inviata da Roberto Minelli. (Inviate le foto, ovviamente scattate da voi, a questi indirizzi: lettere@ corriere.it e su Instagram @corriere) è una terra ampiamente sottovalutata dal punto di vista politico e culturale. È raffigurato — forse perché da sempre orientato verso il centrodestra — come una landa di buzzurri egoisti; invece il Veneto esprime una fortissima domanda di cultura, di teatro, di musica, di buoni libri. Così come è forte la rete di solidarietà sociale, il volontariato laico e cattolico. Purtroppo la classe dirigente, non solo tra i politici ma anche tra gli imprenditori, non è riuscita a esprimere una leadership in grado di pesare a livello nazionale: consideri ad esempio la delusione dei Galan e degli Zonin. Ma la ripresa nel Nord-Est c’è. Se rimane un buco nero, è proprio Venezia, che non ha confermato i segnali di risveglio intravisti dieci anni fa, e continua a perdere abitanti e identità.