Emissioni, la difesa di Fca: «Da noi nessuna truffa»
Marchionne ha radunato la prima fila dei manager. I legali: c’è una soluzione rapida per i diesel
Il giorno dopo aver ricevuto la notifica relativa alla denuncia per violazione delle regole di salvaguardia ambientale, Sergio Marchionne ha radunato la sua squadra per rassicurarla e per predisporre la difesa. Ieri davanti al Tribunale Federale di San Francisco, in California, il gruppo italo americano si è difeso da una class action depositata lo scorso 1 dicembre. Questa procedura, un’azione civile collettiva promossa a tutela dei consumatori, prevede che sia trattata una sola richiesta di danni e che la sentenza abbia valore «tombale», ovvero vada a incidere sulle altre denunce pervenute successivamente. Nel corso del dibattimento i legali avrebbero ricordato che Fca ha chiesto all’Agenzia per la protezione ambientale e alla California Air Resources la certificazione del software montato sui motori della Jeep Grand Cherokee e della Ram 1500 e, quindi, il caso potrebbe essere risolto rapidamente. Uno degli avvocati che difenderà Fiat Chrysler ha già alle 12 10 9 8 7 spalle una buona esperienza contro accuse simili (si è occupato della vicenda Volkswagen). Si chiama Robert Giuffra jr di New York, è partner dello studio legale Sullivan & Cromwell, lo stesso che permise nel 2005 a Marchionne di uscire vittorioso nello scioglimento del legame con General Motors. Marchionne ha già messo in conto una sanzione, e ha riconosciuto che può esserci stata una comunicazione tra le parti non sufficientemente chiara. Ma ha anche ribadito che «non ho truffato nessuno».
Il software sotto accusa non ha mai inciso sulle differenti valutazioni dei test. Anzi, dopo aver effettuato l’aggiornamento sulle auto del 2017, la società si è immediatamente dichiarata disponibile ad intervenire anche sui modelli costruiti dal 2014 al 2016.
Fca ha molti elementi per difendere la propria posizione e anche gli analisti ritengono che un’eventuale multa dovrebbe essere di molto inferiore a quella ipotizzata dai media, poiché il procedimento non ha nulla a che vedere con altri casi. Qui si sottolinea che l’infrazione è veniale, il dispositivo utilizzato non era stato applicato per infrangere la legge, ma andava specificato in fase di omologazione.