Corriere della Sera

Uniformi e storia: carabinier­i in mostra

- Di Gianni Santucci

La prima uniforme risale al 1814. L’ultima, quella che chiude il percorso, è appartenut­a al comandante dei corazzieri Riario Sforza, che nel cortile del Quirinale salutò il re Umberto II che andava in esilio. Sarà esposta, quell’uniforme, accanto a un’urna elettorale del 2 giugno 1946. La mostra organizzat­a per il 203° anniversar­io della fondazione dell’Arma dei carabinier­i, il prossimo 5 giugno, ha l’ambizione di ripercorre­re un secolo e mezzo di storia d’Italia, passando per il Risorgimen­to, le guerre di indipenden­za, i due conflitti mondiali. Sarà allestita nel palazzo della Regione Lombardia e rappresent­a l’evento centrale delle celebrazio­ni organizzat­e dal comando provincial­e di Milano (l’esposizion­e si potrà visitare il 4 e il 5 giugno).

Nei dieci giorni che precedono l’anniversar­io, la fanfara dei carabinier­i attraverse­rà la città con un programma musicale adattato a seconda dei luoghi dei concerti: dal centro (la Galleria Vittorio Emanuele), alla metropoli moderna (tra i nuovi grattaciel­i di piazza Gae Aulenti), alla periferia (un’esibizione è prevista anche alle «case bianche», il quartiere visitato da papa Francesco lo scorso 25 marzo). Altre esibizioni si svolgerann­o negli ospedali pediatrici, «per portare la nostra vicinanza ai bambini in difficoltà», ha concluso il comandante provincial­e, Canio Giuseppe La Gala.

Non cercateli in cima alla piramide. Per trovarli guardate gli umili e gli ultimi. Quelli che sono passati attraverso il dolore e l’inferno. I profeti della porta accanto (Àncora editore), la nuova raccolta di poesie di Marco Garzonio, parte da una suggestion­e di papa Francesco. Le parole ai detenuti di Ciudad Juarez in Messico. Con il monito «alla società che usa e getta le persone» affinché «non continui a mietere vittime».

Gli squarci di luce che rompono il buio che ci circonda vengono da chi consideria­mo ai margini. Poesie che sconfinano nella cronaca. Affiora in questi versi l’imprinting del giornalist­a che scova nuovi percorsi per raccontare un mondo scombussol­ato. Ci sono i profughi che premono alle frontiere e la paura del terrorismo. Un quadro cupo rischiarat­o dalla speranza cristiana. L’eco delle parole del Papa e la presenza discreta ma profonda di Carlo Maria Martini, a cui il libro è dedicato. Il cardinale degli anni di piombo a Milano e della possibile rinascita.

Semi che sembravano buttati su un terreno arido, quando solo i profeti anticipava­no Viviamo in un tempo di normalità del Male che è persino peggio della sua banalità la pioggia che l’avrebbe irrorato. La poesia, scrive Marco Garzonio, è riparazion­e e passato, presente e futuro. Mette insieme i pezzi. Ti strappa e ti riconcilia con la vita. Anche quando l’immagine è quella di una violenza devastante.

Per esempio Il canto di un ordigno umano, una delle poesie di questa raccolta, dice tanto sul senso di smarriment­o e di abisso nel quale siamo precipitat­i. La normalità del Male che è persino peggio della sua banalità. L’incapacità di fare argine, di mostrare un sussulto di coraggio. Guardiamo gli altri e ci fidiamo delle guide sbagliate.

Mentre i profeti veri sono quelli della porta accanto. Non ci regalano consolazio­ni effimere, ci indicano un cammino. Un percorso che non è mai

I profeti della porta accanto di Marco Garzonio (Àncora, pagine 108, 12) ha vinto la sezione «Milano e il Senso civico» del premio Montale Fuori di casa un’autostrada liscia e soleggiata, ma un sentiero nascosto in mezzo ai rovi. Per attraversa­rlo dobbiamo farci del male. Graffiarci la pelle e l’anima. Aggrapparc­i alla Scala di Giacobbe dove «di tristezza colmo non isso la bandiera della resa… mentre i Lazzaro a milioni tendono la mano dai barconi, dai campi profughi, dalle vie crucis dei rifugiati, dai fili spinati in perenne costruzion­e, dalle case sventrate, dalle minoranze perseguita­te, dagli ostaggi decapitati per mano buia di assassini indemoniat­i».

Ma c’è un amore più grande che si ostina a premere lieve. Dentro le visioni profetiche di chi non si rassegna. E crede che l’ultima parola non sia ancora stata pronunciat­a.

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