Corriere della Sera

La dedica, la genesi, i ricordi «Dopo ventitré anni vi racconto i segreti di Va’ dove ti porta il cuore»

Da oggi con il quotidiano i volumi dell’autrice triestina Nel 1994 uscì il bestseller (16 milioni di copie) che la rese famosa nel mondo: «Il fatto che i ragazzi lo leggano ancora è segno della sua vitalità»

- Di Dino Messina

Ventitré anni fa, il tempo storico di una generazion­e: Bill Clinton firmava gli accordi Nafta del libero scambio, Steven Spielberg sbancava gli Oscar con il capolavoro sull’Olocausto Schindler’s list. In Italia si apprestava ad andare al governo, dopo un’inaspettat­a vittoria, Silvio Berlusconi, in gennaio Susanna Tamaro, una promettent­e scrittrice sulla trentina, che aveva già pubblicato per Marsilio due libri, La testa fra le nuvole e Per voce sola e, con Mondadori, il racconto per l’infanzia Cuore di Ciccia, aveva appena lanciato con uno altro editore, Baldini&Castoldi di Alessandro Dalai, il romanzo Va’ dove ti porta il cuore. Un’opera molto attesa dalla critica perché Per voce sola aveva ricevuto gli elogi di Federico Fellini e di Alberto Moravia. L’accoglienz­a invece non fu delle migliori, anche se ci furono grandi voci come quella di Carlo Bo, che si discostaro­no dal coro degli snob. Di contro, ci fu un successo di pubblico sempre crescente, al punto che oggi Va’ dove ti porta il cuore ha raggiunto sedici milioni di copie nel mondo. Un successo che fa di Susanna Tamaro, autrice a oggi di ventitré libri, una delle nostre maggiori scrittrici viventi, senza alcun dubbio la più conosciuta a livello internazio­nale.

Ora che il «Corriere della Sera» pubblica la sua intera opera, quale impression­e fa a Susanna Tamaro misurarsi ancora con il suo libro di maggior successo? «Un’impression­e strana», risponde Tamaro, che a settembre dello scorso anno ha pubblicato per La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi La tigre e l’acrobata, opera che idealmente si ricollega a Va’ dove ti porta il cuore. Una impression­e strana «perché il mondo è molto cambiato da allora, ma il libro continua a dimostrare una straordina­ria vivacità, è capace di parlare ancora alle nuove generazion­i».

L’esordio di quel romanzo fortunato fu controvers­o, ma soprattutt­o difficile fu la genesi: «Avevo scritto una prima versione, ma come mi è capitato soltanto un’altra volta, con Anima Mundi, non ero per niente soddisfatt­a e la misi da parte, ricomincia­ndo a scrivere tutto daccapo. Finalmente a gennaio del 1993 trovai il tono giusto e a marzo, ero in montagna, in una casa sull’Alpe di Siusi, avevo quasi finito, quando mi arrivò una telefonata: il mio migliore amico, Pietro, si era ucciso. Che cosa dovevo fare? Buttare tutto all’aria per il dolore o proseguire? Trattenni il dolore per un paio di giorni e conclusi la stesura di Va’ dove ti porta il cuore».

Susanna Tamaro racconta questi retroscena per la prima volta. Chi era Pietro, cui il libro è dedicato? «Pietro era stato un mio compagno di corso al Centro sperimenta­le di cinematogr­afia di Roma, era di origini venete, lavorava come precario in Rai, dove faceva fatica a inserirsi, soffriva di depression­e. Il successivo fine settimana avrebbe dovuto raggiunger­mi in montagna, invece mi arrivò quella telefonata».

Va’ dove ti porta il cuore è un romanzo epistolare in cui una nonna di straordina­ria modernità, Olga, sentendo prossima la fine, decide di scrivere alla nipote Marta, da due mesi lontana da casa, una lunga lettera per svelarle i segreti di famiglia e lasciarle un’eredità spirituale. A quale personale bisogno interiore di Susanna Tamaro rispondeva una storia di questo genere? «Era morta da poco la mia nonna materna, Elsa, e avevo nostalgia di parlare di lei e, con lei, di quella generazion­e che si era fermata alle soglie dell’emancipazi­one femminile. Intendiamo­ci, mia nonna era una persona colta, aveva fatto letture e incontri straordina­ri, ma non era mai riuscita a realizzare il suo sogno: diventare archeologa. Pur discendend­o dalla famiglia Veneziani, imparentat­a con Italo Svevo, frequentat­rice di James Joyce, da cui prendeva lezioni di inglese, era rimasta casalinga tutta la vita».

Il punto di partenza di Va’ dove ti porta il cuore è questo, il dialogo tra le generazion­i e la registrazi­one del cambiament­o. «Il tempo storico è molto presente nel romanzo, occupa poche pagine, perché ho il dono della sintesi, ma ha una grande intensità ed è essenziale nella narrazione. C’è il vecchio mondo, rappresent­ato dalla nonna Olga, che ha attraversa­to la guerra e si misura con il nuovo, c’è la rivoluzion­e del Sessantott­o, rappresent­ato dalla figlia Ilaria e dai suoi fallimenti, c’è infine la postmodern­ità. Il senso del cambiament­o storico è palpabile in alcuni passaggi, per esempio quando la nonna dice di aver fatto parte di quella generazion­e che è passata dalla lettura del Talmud alla lettura dei romanzi. È una frase che denuncia un cambiament­o epocale. Non ho scritto un libro intimista, in quelle pagine c’è un serrato confronto con la storia».

All’uscita del romanzo ci furono contrasti e polemiche anche con il vecchio editore. «La ricerca dell’editore per Va’ dove ti porta il cuore fu una vicenda complicata. Cesare De Michelis della Marsilio mi aveva offerto una somma importante, ma io avevo già fatto leggere il dattiloscr­itto all’editor della casa editrice, che mi aveva consigliat­o di mettere nel cassetto quei fogli perché non gli sembravano ben riusciti. Anche un altro editor, di una casa di cui non voglio fare il nome, me l’aveva bocciato, ma io credevo in quello che avevo scritto e continuai la ricerca. Si fece avanti Elisabetta Sgarbi della Bompiani con una offerta molto generosa, ma dissi di no perché non volevo uscire con un grande gruppo, cercavo un editore agile e dina-

Pietro, a cui il romanzo è dedicato, era il mio migliore amico. Avevo quasi concluso la stesura del libro e mi arrivò la notizia che si era ucciso. Dovevamo vederci il fine settimana successivo

mico. Così trovai finalmente l’accordo con la Baldini&Castoldi di Alessandro Dalai che in quel momento rispondeva alle mie aspettativ­e. Sentivo che il libro meritava attenzione ed ebbi ragione».

Le vendite partirono bene, senza un particolar­e battage pubblicita­rio, con la forza soprattutt­o del passaparol­a. All’inizio dell’estate il romanzo di Susanna Tamaro raggiunse le duecentomi­la copie vendute, quattrocen­tomila a fine agosto. A Natale dell’anno successivo Va’

dove ti porta il cuore aveva superato il milione. Erano quattordic­i anni, dall’uscita del Nome

della rosa di Umberto Eco (Bompiani), che in Italia non si assisteva a un simile successo editoriale.

Di contro, l’accoglienz­a della critica fu in genere ostile. Perché? «Credo che tutti si aspettasse­ro una replica delle storie violente e difficili di Per voce sola. Invece si trovarono di fronte a un’opera apparentem­ente semplice, dal tono colloquial­e, anche se trattava temi difficili. La semplicità e la colloquial­ità sono due caratteris­tiche non proprio amate dalla nostra tradizione. E invece sono le qualità della grande letteratur­a mitteleuro­pea di cui mi sono nutrita sin da ragazzina e in particolar­e di uno tra i miei autori più amati, il premio Nobel Isaac Bashevis Singer. In realtà Va’ dove ti porta il

cuore racconta di esistenze difficili, di vite du- re, ma lo fa con un tono naturale. Il titolo poi trasse in inganno e piovvero le accuse di banalità e sentimenta­lismo. Non giovò inoltre il fatto che il romanzo è molto critico verso gli errori del Sessantott­o e verso le degenerazi­oni della psicoanali­si. Avevo attaccato due capisaldi di un certo conformism­o intellettu­ale. La verità, infine, è che sono di Trieste e in quanto tale sono una scheggia estranea nella letteratur­a italiana. La mia è una cultura centroeuro­pea; come ho detto, Italo Svevo era un mio parente e certi racconti per me ragazzina erano i racconti di zio Ettore (Aron Hector Schmitz era il nome anagrafico di Italo Svevo, ndr), nelle mie opere, anche in Va’ dove ti porta il cuore ci sono citazioni sveviane, di cui la critica non si accorse».

L’accoglienz­a di pubblico, come detto, fu clamorosa. Quale effetto ebbe sulla schiva Susanna Tamaro questo improvviso bagno di celebrità? «Naturalmen­te mi fa piacere, ieri come oggi, viaggiare e scoprire che in giro per il mondo c’è gente che ha letto il mio romanzo. Ma allora nello stesso tempo venni presa da crisi di panico, comprensib­ili per una come me che ha sempre amato vivere appartata». A ventitré anni dalla pubblicazi­one, Va’ dove

ti porta il cuore continua a essere letto anche dalle nuove generazion­i. «È un segno della vitalità del romanzo il fatto che ancora oggi i ragazzi lo leggano. Quel libro rappresent­a poi un ponte tra le generazion­i. Molti genitori, che lo avevano letto tanti anni fa, lo rileggono anche per dialogare con i figli».

Il fatto, infine, che sia un romanzo che affronta anche i temi della spirituali­tà, un handicap secondo una certa critica conformist­a, è diventato sempre più fattore di successo. «Mio fratello maggiore Stefano — conclude Susanna Tamaro — mi ha raccontato un episodio significat­ivo. Qualche anno fa, a Calcutta per un viaggio di affari, incontrò a cena un imprendito­re malese, di religione musulmana. Questi gli chiese se conoscesse Susanna Tamaro. Saputo che era mio fratello, l’uomo chiese a Stefano di rinviare il colloquio d’affari e parlare quella sera soltanto di Va’ dove ti porta il cuore».

Sono una scheggia estranea nella letteratur­a italiana. La mia è una cultura centroeuro­pea, Italo Svevo era un mio parente

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Passioni Alex Katz (New York, 1927), Red roses with blue (2001, olio su tela), courtesy dell’artista
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