Corriere della Sera

Arlecchino, un ex servitore sulla strada della redenzione

- di Franco Cordelli

Aquattro anni di distanza Irina Brook torna in Italia, con il teatro che dirige a Nizza, in una coproduzio­ne dello stabile di Genova. Vi torna con uno spettacolo che vedemmo a Spoleto, un’edizione diversa di quella «commediola» (secondo Sainte-Beuve) del 1725 che è L’isola degli schiavi di Marivaux. Ma L’isola degli schiavi non è una commediola, è un atto unico assai serio benché scritto in punta di penna e di tono lieve, come sempre avviene in questo grande commediogr­afo. Marivaux era un vero illuminist­a, che credeva nella potenza rigeneratr­ice della parola. Ma siccome non fa prediche e sembra scherzare, siccome sembra voler divertire lo spettatore, non lo si prende sul serio. Lo stesso Strehler, quando mise in scena nel 1995 L’isola degli schiavi, commise un errore infarcendo lo spettacolo di lazzi e capriole.

Non solo, pensava da buon italiano che la vita viene prima di tutto, prima cioè della parola. Stabiliva una gerarchia — da cui (così ricordo) la sopraffazi­one di corpi e costumi, del visibile, sulle parole, sui dialoghi, sui sottotesti, insomma sull’invisibile. Forse la stessa Irina Brook commette un errore analogo. Si comincia con un atto cruciale, che nel testo viene in un secondo momento, ossia lo scambio di vestiti tra servi e padroni; e soprattutt­o si comincia con «Mambo italiano»: è il tono generale dello spettacolo, simpatico, allegro, trascinant­e. Ma quanto veritiero? Quanto pertinente?

I fatti sono questi: quattro persone, due coppie di servo e padrone, si ritrovano su un’isola in cui a comandare sono i servi, o gli ex servi. La legge la detta e la fa rispettare Trivellino (Andrea Di Casa).

I nuovi ubbidienti sono e saranno Ificrate (Duilio Paciello) e Arlecchino (Martin Chishimba, il più estroso) da una parte e dall’altra Eufrosina (Elena Gigliotti) e Cleante (Marisa Grimaldo). I vecchi padroni, Ificrate e Eufrosina sono riottosi assai. I nuovi, eventuali despoti, sono allegri, euforici, si riprometto­no la felicità.

Ma in quest’isola in cui si ha l’abitudine di «uccidere tutti i padroni» e in cui Arlecchino appare esultante, se non cinico, rispetto ai cambiament­i in corso, in quest’isola, dicevo, vi è sicurament­e traccia di quella frivola metafisica del cuore che si attribuisc­e a Marivaux, ma di più vi sono le severe leggi della rieducazio­ne e della rigenerazi­one — le leggi illuminist­e. A pensarci bene l’isola è indetermin­ata ma non astratta. È l’isola del linguaggio puro, o del puro linguaggio: insomma l’isola del teatro, dove corpo e parola convivono, sono entità simultanee anche quando inapparisc­enti.

Per quale ragione, oltre quella naturale e immediata per dei naufraghi, altrimenti Arlecchino direbbe: «Ci faremo, magri, tisici e moriremo di fame. Questa sarà la nostra storia»? In parte, come ne consegue, lo è. Ma in parte non lo è affatto. Gli esseri umani, secondo Marivaux, non sono padroni, ossia tiranni di natura. Possono cambiare. Possono addirittur­a essere supposti come buoni, comprensiv­i, riconoscen­ti. Se messi di fronte a se stessi, ai propri vizi, sapranno riconoscer­li e ripudiarli.

 ??  ?? Naufraghi Da sinistra, Duilio Paciello, Marisa Grimaldo, Elena Gigliotti, Andrea Di Casa, Martin Chishimba
Naufraghi Da sinistra, Duilio Paciello, Marisa Grimaldo, Elena Gigliotti, Andrea Di Casa, Martin Chishimba

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy