Corriere della Sera

Quel giorno del ‘97 temevo il peggio ma oggi il pantheon è finalmente riaperto

- Di Aldo Grasso

Me lo ricordo bene quell’inizio di sogno: era un venerdì, il 18 luglio del 1997. Un gruppo di tifosi si era radunato attorno al Filadelfia, ormai invaso dalle macerie e dalla gramigna. Eppure fino a qualche anno prima, il campo era stato usato dai calciatori per gli allenament­i e dai tifosi per incontrars­i e rammentare i bei tempi. Gli eroi della mia adolescenz­a erano tutti nati al Fila: Vieri, Poletti, Buzzaccher­a, Cella, Rosato, Ferrini… E poi Agroppi, Pulici, Zaccarelli. C’erano le autorità che tenevano in mano un plastico del nuovo stadio, ma la scena che incuteva paura (e lasciava poche speranze) era un’altra: una ruspa, con un lungo braccio color arancione, che di lì a poco si sarebbe abbattuto sulle gradinate del Tempio granata riducendol­o, pian piano, a un cumulo di rovine. Erano tutti contenti, ma io temevo il peggio. E invece il sogno si è realizzato, il pantheon è stato ricostruit­o, la memoria ha ritrovato il suo cammino. Cos’è stato il Filadelfia (dal greco, «amor fraterno») per il Toro e per suoi tifosi? Il Fila era il campo del Grande Torino, per i giornali dell’epoca «la Fossa dei leoni». Bastava, appunto, che un trombettie­re, un certo Oreste Bolmida, che di mestiere faceva il capostazio­ne, suonasse la carica che subito la squadra partiva alla riscossa. Successe con il Novara di Piola, nell’aprile del ‘49: dopo la carica, in dieci memorabili minuti, la squadra mise a segno 4 gol: Mazzola, doppietta di Loik, Ossola. È una storia raccontata mille volte. E altre mille quella dell’incontro con la Roma nel ‘46: il Toro stava vincendo 7-0, per non umiliare l’avversario Ossola convinse l’arbitro a non assegnare un rigore. «Per circa 35 anni il Filadelfia non è stato un semplice campo da football… Andare al Filadelfia fu per tanti anni e per moltissimi tifosi del Toro qualcosa di più di una procession­e sportiva settimanal­e, fu un atto d’amore, un gesto di omaggio e di riconoscen­za ai propri campioni» (Franco Ossola, figlio dell’attaccante Franco Ossola scomparso a Superga). Il Fila era un vecchio stadio da trentamila posti, gradinate e tribune a un metro dal terreno. Uno stadio dove il Torino non aveva mai perduto per quasi sei anni, dove in cinque campionati le squadre ospiti erano riuscite a portare via appena otto punti. Il cuore al Toro è stato rubato più volte: a Superga, i giorni in cui se ne andarono Meroni e Ferrini e altre volte ancora. Ma il granata è un destino, una leggenda illuminata dalla «Luce degli Immortali».

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