Corriere della Sera

Tutte le scosse della base dem

Da Lombardia a Puglia e Calabria i casi di amministra­tori e iscritti che hanno lasciato dopo il voto

- Riccardo Bruno rbruno@corriere.it

Iballottag­gi sono stati l’ultimo argine. Il mezzo flop del Pd alle urne ha solo rafforzato malumori e rancori che spesso covavano da mesi. Nell’ultima settimana, dalla Liguria alla Puglia, dalla Calabria alla Lombardia, è un susseguirs­i di annunci di defezioni e tessere stracciate. Sono soprattutt­o piccoli rivoli, fughe di amministra­tori cittadini, dirigenti di circolo, semplici iscritti. Contano le vicende locali, i rapporti personali, ma ovunque per giustifica­re la rottura si usano praticamen­te le stesse parole: «Il Pd non è più la nostra casa» e si mettono in fila le riforme, quelle vantate dai renziani, considerat­e cantonate intollerab­ili dai transfughi. Insomma, ragioni politiche di fondo alla base degli strappi, non beghe di circoscriz­ione.

Chi lascia il Partito democratic­o spesso aderisce ad Articolo Uno-Mdp, il movimento di Speranza e Bersani. Ma non è sempre così. A Lerici, a due passi da La Spezia dove il centrosini­stra ha perso dopo quasi mezzo secolo la poltrona di sindaco, in 42 hanno lasciato il circolo locale del partito, guidati dalla segreteria Monica Rossi. Considerat­i vicini ad Andrea Orlando, non hanno ascoltato neppure il loro leader che invece punta alla battaglia dall’interno. «Non possiamo stare dentro un partito che gioisce per chi se ne va e non si interroga sul perché si fa» hanno scritto polemicame­nte nella lettera d’addio.

Più numerosa la pattuglia dei fuoriuscit­i a Lecce. Ben 103, tra cui l’ex segretario provincial­e Salvatore Piconese e una lunga lista di sindaci ed ex sindaci della zona. Un’anomalia, perché il capoluogo salentino dopo 22 anni era stato riconquist­ato. Una vittoria adesso brandita come arma contro Renzi. «È stato un successo frutto di un lavoro politico sul territorio capace di invertire un trend nazionale. Il Pd ormai non ha più legami con le culture che diedero forma al partito delle origini».

A Bagno a Ripoli, cintura fiorentina (alle ultime primarie un plebiscito per il segretario, superato l’82%), venerdì in 9, tra cui due consiglier­i e il presidente dell’assemblea comunale, hanno restituito la tessera perché «il partito è ormai al servizio del leader, non il leader al servizio del partito». Una scelta che si capisce quanto sia stata sofferta dalla lunga nota in cui si riflette non di dilemmi locali ma di grandi temi, il referendum costituzio­nale o il «conflitto con la Cgil», la riforma della scuola e persino la perdita del Campidogli­o. «È doloroso lasciare quella che per anni è stata la tua casa, anche se da tempo eri ospite non gradito. Ma è più facile lasciarla se non c’è più niente che ti appartiene».

Non solo amministra­tori di piccoli centri, si muovono anche dirigenti di peso. Martedì al Consiglio regionale della Lombardia è stata annunciata l’uscita dal gruppo Pd di Massimo D’Avolio e Onorio Rosati, che è diventato coordinato­re per Milano di Mdp. E mentre in Campania sarebbe in atto un corteggiam­ento serrato dell’«altra sinistra» all’eterno Antonio Bassolino, in Abruzzo si aspettano le mosse future del potente assessore regionale Donato Di Matteo.

Insofferen­za non solo di vecchi militanti, ma anche delle nuove generazion­i. A Reggio Calabria l’ex segretario provincial­e e 300 iscritti dei Giovani democratic­i hanno salutato il Pd e aderito a Mdp. «È stata trasformat­a una comunità politica in un popolo di tifosi — ha spiegato Alex Tripodi —. Abbiamo cercato fino all’ultimo di rimanere nel partito per il quale abbiamo speso una parte della nostra vita. Non accettiamo la mutazione genetica per la quale il Pd si è inesorabil­mente e drammatica­mente trasformat­o in un partito a vocazione personale, in cui a predominar­e è l’idea del capo».

Giovani, come l’ex segretario di Modena, Gregory Filippo Calcagno. Anche lui si è dimesso un paio di giorni fa. «Il dolore che provo nel lasciare è enorme. Mi sento tradito e umiliato da chi ho amato profondame­nte».

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