La rivoluzione digitale e i dubbi di Salvatores «Un’opera d’arte non è interattiva»
Gabriele Salvatores non ha dubbi: «Un’opera d’arte — ammesso che i film riescano ad esserlo, perché alcuni proprio no — non è interattiva: è il lavoro di qualcuno che mette i suoi sogni o i suoi incubi davanti ad un pubblico». Nel dibattito di ieri su cinema, realtà virtuale e tecnologia, il regista premio Oscar ha esordito con una posizione netta nei confronti della rivoluzione digitale che starebbe condizionando il modo di fare cinema. Il punto di partenza, secondo Giovanni Veronesi, sarebbe il periodo storico «in cui viviamo: c’è una voglia esagerata di protagonismo. Basta pensare al selfie: ci si mette in primo piano e si lascia il resto del mondo alle spalle... qualunque analista direbbe che c’è qualcosa che non va. Non è il cinema in crisi, sono le persone ad esserlo». E così, se da una parte, come hanno detto Nicola Giuliano e Francesca Cima di Indigo film, «è giusto che le persone scelgano come fruire il cinema», anche attraverso lo schermo di uno smartphone, «perché la tecnologia dà le stesse opportunità a tutti», come ha ribadito invece Antonio Bosio di Samsung, dall’altra sia i registi che la direttrice della scuola civica di cinema Luchino Visconti, Laura Zagordi, non hanno nascosto qualche perplessità sull’idea di non andare più in sala per vedere un film ma limitarsi al telefonino. «È come ascoltare l’Aida con le cuffie o alla Scala», ha spiegato l’artista degli effetti speciali Victor Perez. «La tecnologia può regalare un senso di partecipazione, certo. Quando ho visto Superman 2 sognavo di volare con lui. Ma poi penso alle persone che guardano un film e poi ne parlano, si scambiano opinioni, punti di vista. Per me questo è il vero cinema interattivo».