Corriere della Sera

«Figlio mio, scrivi»: e Consolo ubbidì

Contro la mafia un’appassiona­ta militanza civile, innescata da un’antica esortazion­e

- di Corrado Stajano

«Adesso odio il paese, l’isola, odio questa nazione disonorata, il governo criminale, la gentaglia che lo vuole... Odio finanche la lingua che si parla...».

È un’invettiva con cui Vincenzo Consolo apostrofò la sua amata/odiata Sicilia in una pagina di Nottetempo, casa per casa, il romanzo che nel 1992 vinse il Premio Strega. Pubblicata negli anni Novanta anche dalla rivista siciliana «Euros» (ora scomparsa), è ripubblica­ta ora dall’editore Bompiani nel libro che sta per uscire: Vincenzo Consolo, Cosa loro. Mafie tra cronaca e riflession­e, che raccoglie una vasta selezione degli articoli giornalist­ici dello scrittore nato nel 1933 a Sant’Agata di Militello, nel Messinese, morto a Milano nel 2012. Sessantaqu­attro articoli, scelti a cura di Nicolò Messina. Un romanzone nero di perenne attualità, purtroppo, sulle amare, spesso truculente vicende dell’isola, protagonis­ta la mafia.

Ha scritto Cesare Segre nel Meridiano Mondadori uscito due anni fa che «Consolo è stato il maggiore scrittore italiano della sua generazion­e. La sua scomparsa ha turbato tutto il quadro della narrativa nel nostro Paese, rimasto senza un punto di riferiment­o alto e, per me, indubitabi­le». Ma Consolo che si definiva «archeologo della lingua», musica dei suoi libri, si potrebbe dire, trapanator­e di ogni parola, conosce bene, e rispetta le differenze che esistono tra la scrittura dei suoi romanzi e la scrittura di un articolo di giornale che deve essere limpida e chiara, testimonia­nza veritiera del fatto che racconta.

Amava molto il giornalism­o, Consolo. Fu la sua seconda natura, politica e civile, di pronto intervento spesso, e anche miniera d’invenzione. Alla metà degli anni Settanta del Novecento, quando tutta l’Italia era ribollente di violenza e di passione — non era ancora uscito il suo meraviglio­so romanzo Il sorriso dell’ignoto marinaio — pensò persino di fare il giornalist­a di profession­e.

Scrisse molto sui giornali. Per decenni collaborò all’«Ora» di Palermo, quotidiano coraggioso e ribelle dove per sei mesi, nel 1975, lavorò, piccolo inviato, in redazione. Scrisse poi su «Tempo illustrato», sul «Messaggero, sul «Corriere della Sera», sull’«Unità», sul «Manifesto». Non si ritraeva mai anche quando gli veniva chiesto un articolo su fatti sanguinant­i appena accaduti. Sapeva nutrire le notizie con la sua profonda cultura.

Protagonis­ta di Cosa loro è dunque la mafia del passato e del presente che Consolo visita e rivisita con perenne angoscia e dolore. Perché questa cappa di morte, sembra chiedersi a ogni riga, deve pesare da più di un secolo sulla Sicilia un tempo incontamin­ata? «Com’è possibile che qui, in quest’isola di tanta storia, di tanta cultura, di tanta civiltà ci possano essere mafiosi, criminali spietati, autori di efferati delitti, di stragi?». Un’ossessione, un tormento.

Gli articoli si incastrano l’uno nell’altro e creano un unicum tra le narrazioni di bellezza dei luoghi e, troppo spesso, di morte: il mare color del vino, le eredità della Storia, gli Angioini, gli Aragonesi, i re di Castiglia, le cupoline arabe color rosso sangue di San Giovanni degli Eremiti, la cattedrale di Palermo che custodisce i sarcofagi romani e le urne di porfido di re e imperatori, Federico II e Costanza d’Aragona, e poi lo Spasimo, la chiesa cinquecent­esca dei padri olivetani senza più il soffitto, ma affascinan­te, lo Steri, il palazzo dell’Inquisizio­ne, e anche i quartieri marcescent­i, la Kalsa, Ballarò, la Vucciria, il Capo, il mondo delle zolfare, posto di lavoro e di sopraffazi­one padronale, il degrado dell’isola dove le case, nell’ultimo mezzo secolo, indifferen­ti o complici i governanti, sono state costruite sulla sabbia del mare. «Un paradiso abitato da diavoli».

Ma è la mafia la vera prima attrice del libro. Consolo scrive di Riina, dello stalliere Mangano, degli andreottia­ni di Palermo, Lima, i Salvo, non si dà pace. Racconta quando, ragazzetto decenne, accompagnò il padre commercian­te su un vecchio camion Fiat 621 e a Villalba conobbe un tale che si chiamava don Calò Vizzini, «un vecchio laido, bavoso». Il maresciall­o dei carabinier­i del paese aveva vietato al signor Consolo di caricare un sacco di lenticchie, don Calò lo autorizzò. «Hai visto», gli disse il padre, «da queste parti il capomafia comanda più dei carabinier­i. Scrivilo, scrivilo a scuola». Vincenzo gli ubbidì per tutta la vita.

Il libro è ricco di fatti noti e anche dimenticat­i. Lo sbarco degli Alleati in Sicilia, nel 1943, con il contributo essenziale di Cosa nostra, Portella della Ginestra, il bandito Giuliano, Pisciotta, le bugie istituzion­ali, la consapevol­ezza che la mafia non è una normale organizzaz­ione criminale debellabil­e dalla repression­e della polizia, ma è un altro Stato, con le sue leggi di rovina e di morte. È una continua constatazi­one per Consolo: «Chi ha uso di ragione, possesso di cognizione, sa che la mafia, questa mala pianta, questo olivastro infestante e devastante, è nata in Sicilia per il ritardo storico in cui l’isola è stata tenuta,

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 ??  ?? Vincenzo Consolo (Sant’Agata di Militello, Messina, 1933 – Milano, 2012: fotografia da vincenzoco­nsolo.it). In alto: Salvatore Mangione «Salvo» (Leonforte, Enna, 1947 – Torino, 2015), Alba (1989, olio su tela). L’opera sarà inclusa nella mostra Salvo....
Vincenzo Consolo (Sant’Agata di Militello, Messina, 1933 – Milano, 2012: fotografia da vincenzoco­nsolo.it). In alto: Salvatore Mangione «Salvo» (Leonforte, Enna, 1947 – Torino, 2015), Alba (1989, olio su tela). L’opera sarà inclusa nella mostra Salvo....
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