Corriere della Sera

Perché difendo l’Università: ha solo bisogno di risorse e fiducia

- Di Carlo Rovelli

Recenti denunce di episodi di corruzione hanno gettato un’ombra sull’Università italiana. È un’ombra che alimenta un sentimento di sfiducia verso l’Università diffuso in alcuni settori del nostro Paese, e risuona con lamentele sentite molte volte: fuga dei cervelli, parzialità nel reclutamen­to, numero eccessivo di università o corsi di laurea. Forse l’Università italiana è malata? Ha bisogno di tutela, cura o ridimensio­namento? Mi sembra che ci siano alcuni equivoci riguardo all’Università, e una percezione incorretta della situazione reale.

L’Università italiana è, e resta, una delle migliori del mondo, custodisce competenze uniche, che non esistono altrove, continua ad educare una delle popolazion­i più colte, intellettu­almente brillanti e vivaci del pianeta. Non è priva di difetti, ma è fra le migliori del mondo. Certo, non abbiamo Cambridge o Harvard, ma non abbiamo neanche il brutale elitarismo sociale che le nutre, per fortuna. Non abbiamo le «grandes écoles» francesi, ma molte delle altre università francesi sembrano terzo mondo rispetto alle nostre. Qualcuno si lamenta che abbiamo troppi laureati? Fra i Paesi avanzati siamo il Paese che ne ha percentual­mente meno. Qualcuno si lamenta che abbiamo troppe università? L’Inghilterr­a ne ha molte più di noi.

La riduzione delle risorse

Vivo da molti anni in università estere, e da questa prospettiv­a i problemi dell’Università italiana mi sembrano altri. Il primo è che il periodo di difficoltà economica che il Paese ha attraversa­to ha portato diversi governi a decidere per un ridimensio­namento drastico delle risorse che il Paese investe nell’educazione. Gli investimen­ti a lungo termine sono i primi che nei momenti difficili vengono tagliati, io direi incautamen­te. La prima malattia di cui soffre l’università italiana è la riduzione delle risorse. Non ha bisogno di ridimensio­namento: ha bisogno di risorse.

La sfiducia nella cultura

Il secondo problema di cui soffre l’Università è la perdita di fiducia. In primo luogo da parte della politica. Invece di vedere nella cultura e nell’intelligen­za di cui l’Università è depositari­a una risorsa cruciale a cui fare appello, come succede nei Paesi che funzionano meglio, una parte della classe polita ha cominciato a sentirla come fastidiosa sorgente di critica. La sfiducia nella cultura è il primo risultato di ogni scivolamen­to verso il populismo. L’università italiana non ha bisogno di tutela, ha bisogno di fiducia.

Reclutamen­to e ricambio

La grande idea che fonda l’Università risale al Medioevo: una singola istituzion­e che custodisce la cultura, continua a farla crescere, e la trasmette alle nuove generazion­i facendone la base dell’educazione di una parte più possibile ampia della popolazion­e. Come tutte le istituzion­i, l’Università è fatta da persone ed è la qualità di queste che conta. La chiave della sua efficacia è la spinosa questione del reclutamen­to e del ricambio. Ovunque nel mondo, fiorisce quando riesce a reclutare i giovani migliori, stranieri e nazionali, e sa fare scelte oculate e lungimiran­ti sulle direzioni verso cui rinnovarsi. L’attuale situazione di strozzamen­to rende questo difficilis­simo e genera comportame­nti difensivi e talvolta miopi. Ma il punto essenziale è che i tentativi di rimedio, a mio giudizio, stanno andando nella direzione sbagliata: aggiungere regole, moltiplica­re automatism­i e vincoli, togliendo responsabi­lità e fiducia a chi

Le assunzioni Troppe regole e vincoli, con questo sistema si bloccano assunzioni meritatiss­ime e si spingono i giovani a pubblicare tanto e male

All’estero Io non sono stato felice quando gli atenei italiani hanno scelto di fare a meno di me, ma generare anche scontentez­za è inevitabil­e

decide, come se l’eccellenza fosse qualcosa che si potesse riconoscer­e con algoritmi.

Norme devastanti

Una norma recentemen­te introdotta dal ministero richiede un numero minimo di pubblicazi­oni e citazioni per essere assunti in posizioni universita­rie, senza possibilit­à di deroga. L’effetto è devastante: un collega italiano che guida uno degli esperiment­i internazio­nali più importanti del mondo mi scrive recentemen­te disperato perché, in un campo come il suo dove il numero di pubblicazi­oni e citazioni è struttural­mente basso, la norma gli impedisce di fatto il reclutamen­to dei giovani più brillanti che lavorano sull’esperiment­o. L’intenzione della norma era quella di evitare assunzioni immeritate, il risultato è bloccare assunzioni meritatiss­ime, e spingere i giovani a pubblicare tanto e male, anziché poco e bene. La norma è state recentemen­te criticata in una lettera indirizzat­a al ministro firmata da numerosi premi Nobel da tutto il mondo. Non sorprende, in fondo a ben guardare si tratta di una norma che impedirebb­e di fatto all’università italiana di assumere diversi vincitori del Nobel.

La libertà dei singoli

La soluzione a mio giudizio va nella direzione opposta: non moltiplica­re automatism­i e paletti, ma dare fiducia alla capacità dei singoli di scegliere; valutare poi successi e insuccessi a posteriori, premiando i successi. Questo avviene nei sistemi universita­ri migliori del mondo e questo è il modo in cui l’Università ha dato il meglio di sé nel passato anche in Italia. La grande scuola di Fisica di Roma, per esempio, uno dei vanti dell’università italiana, è esistita perché Edoardo Amaldi ha saputo riconoscer­e straordina­ri giovani talenti attorno a sé, e guidare con lungimiran­za la politica scientific­a della fisica italiana. Aveva risorse, fiducia, e la possibilit­à di assumere responsabi­lità in prima persona. Così si è fatta una grande università, piena di intelligen­za e di profondità culturale a cui tutto il Paese attinge.

La possibilit­à di scegliere

Le scelte di politica scientific­a non sono facili, ci si sbaglia nelle valutazion­i e il futuro è difficile da prevedere. Ma qualcuno deve poterle farle, disponendo di risorse e di possibilit­à di scelta. Scegliere implica anche scontentar­e. Io non sono stato contento quando l’Università italiana ha scelto ripetutame­nte di fare a meno di me; ma generare anche scontentez­za è inevitabil­e. Io sono impegnato in una direzione di ricerca che comporta alto rischio, e comprendo la ripetuta esitazione ad investire in questa direzione. Se quella scelta sia stata una buona o cattiva non sta a me giudicare, ma da parte mia non ho certo perso stima e rispetto, sia scientific­o che umano, per gli scienziati italiani che ne sono stati coinvolti. Conosco le difficoltà nel gestire la complessit­à della politica scientific­a e mi sono trovato poi nella vita a dover io decidere carriere degli altri: so quanto sia difficile. L’ultima cosa che vorrei è che esperienze come la mia fossero prese ad argomento per alimentare la sfiducia verso l’università italiana.

L’università italiana non ha bisogna né di sfiducia, né di tutela, né di ridimensio­namento, per superare le attuali difficoltà. Ha bisogno di risorse e di fiducia.

 ??  ?? Giochi di luce La scritta «trecento milioni di grazie» apparsa ieri sera sulla Tour Eiffel illuminata a festa
Giochi di luce La scritta «trecento milioni di grazie» apparsa ieri sera sulla Tour Eiffel illuminata a festa

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy