Addio a Hefner
Mr Playboy, l’artista della felicità sessuale
Come hanno ripetuto le agenzie di tutto il mondo, Hugh Hefner è morto «per cause naturali». Ci sono uomini così eccezionali da riscattare anche i modi di dire più vaghi e insignificanti. Perché quelle «cause naturali» al grande Hef si addicono perfettamente. Nel caso di Hefner, insomma, le «cause naturali» suonano quasi come una specie di sublime malattia professionale. Come gli antichi, Hefner non si vergognava delle forme e delle molteplici circostanze del suo desiderio. Vendeva agli altri esattamente quello che voleva per se stesso. Certamente era un grande persuasore, ma della razza più rara: quella di chi, prima di chiunque altro, è in grado di persuadere se stesso. Vale a dire di conoscersi: che è sempre l’impresa umana più impervia ed aleatoria.
Questo è stato il segreto del suo successo; ancora di più, è stato il segreto dell’imprevedibile durata di quel successo. Col fiuto, o magari grazie a un colpo di fortuna, può capitare a chiunque di intercettare una corrente di desiderio, un’aspirazione, un umore che in un dato momento attraversano la società, e fornirle il prodotto giusto. Ma «Playboy» è stata decisamente un’altra cosa. È lì dal 1953. Anche mettendo in conto un tranquillo e fisiologico declino, condiviso peraltro da tutta la carta stampata, le date sono più eloquenti di un’intera biblioteca di trattati sociologici e psicologici. Per più di mezzo secolo, «Playboy» è rimasto intramontabile perché attingeva alla fonte più credibile, più autentica: Hugh Hefner in persona. Circondato dalle sue conigliette, marito, amante, amico fidato di conigliette, mirabile coniglio in vestaglia di seta nella sua gabbia di ventimila metri quadri in stile gotico-tudor. Il resto è venuto di conseguenza: il talento editoriale, la modella dell’anno, le interviste a Marlon Brando e Fidel Castro, i grandi scrittori che a un certo punto preferirono «Playboy» al «New Yorker».
Tutti i grandi artisti pop americani dello scorso secolo in fondo sono accomunati dalla stessa intuizione: il prodotto da offrire al pubblico è qualcosa di intimo, la parte più preziosa di se stessi, il frutto di un atto di introspezione ben riuscito. Stephen King per esempio è molto simile a Hefner: scrive ispirandosi a i libri e ai film che divorava da ragazzino. La sua forza di persuasione scaturisce da quell’antico desiderio di avere paura, di affrontare un mistero. Cresciuto in ambiente del tutto tradizionale del Midwest, in una famiglia metodista della media borghesia, Hefner è stato il portatore sano di un’immaginazione sessuale caratterizzata da un’assoluta normalità, da un senso perfetto di felicità e appagamento. Una specie di paganesimo ormonale e adolescenziale in cui l’unico principio metafisico (la bellezza femminile) si manifesta in una pluralità potenzialmente infinita di incarnazioni. È il sogno erotico più universale che si possa concepire: un paradiso terrestre risparmiato dalla colpa, che è il più mostruoso di tutti i serpenti. Non corrisponde esattamente al libertinaggio nel senso di Don Giovanni o Casanova, perché l’inesauribile varietà degli oggetti del desiderio non implica necessariamente la loro sostituibilità. La magia tipografica della pagina centrale crea un momento di contemplazione che è fuori del tempo: in quel momento, quella che vediamo è la donna più bella del mondo, ma quel momento è eterno. Tra le tante notizie che si trovano su internet, una soprattutto mi sembra degna di memoria. C’è una specie di coniglio selvatico il cui nome scientifico è un omaggio al logo di «Playboy» e al suo inventore: sylvivagus palustris hefneri. Con una generosa donazione, Hefner protesse questo animaletto a rischio di estinzione. Così facendo, restituì alla natura il simbolo che le aveva preso in prestito. Mi sembra un degno compimento filosofico di una vita ben vissuta.
Il segreto del successo È stato un grandissimo persuasore: vendeva agli altri esattamente quello che voleva per se stesso