Corriere della Sera

Uccide il figlio, niente ergastolo

La Cassazione: non può essere applicata l’aggravante Il giurista: una sentenza che lascia molto perplessi

- di Valentina Santarpia

Quando nella notte del 26 novembre del 2013 tornò ubriaco a casa, intenziona­to a picchiare per l’ennesima volta la moglie, si trovò davanti il figlio Ion che voleva difenderla: e fu il ragazzo, 19 anni, ad avere la peggio, e a finire ucciso con una coltellata al petto. Omicidio volontario, stabilì il tribunale di Udine nel gennaio del 2015, condannand­o Andrei Talpis, un moldavo di 53 anni, all’ergastolo.

Una decisione che la Corte d’assise d’appello di Trieste aveva confermato nel 2016 ma che ieri, a sorpresa, la Corte di Cassazione ha annullato: nessun carcere a vita per Talpis. La Suprema Corte ha disposto la trasmissio­ne degli atti alla Corte d’assise d’appello di Venezia per la quantifica­zione della pena, prescriven­do che non debba comunque scendere sotto i 16 anni di reclusione. Il motivo? Non c’erano legami di sangue tra i due, perché Ion non era un figlio naturale, ma adottato: Talpis e la moglie Elisaveta, che oggi ha 49 anni, lo avevano accolto prima di trasferirs­i a Remanzacco, in provincia di Udine.

La sentenza ha sollevato scalpore. «Se sul piano civilistic­o l’adozione comporta la parificazi­one di status con i figli legittimi — spiega l’avvocato Roberto Mete, che ha difeso Talpis davanti alla Cassazione — per il codice penale la distinzion­e fra figlio naturale e figlio adottato permane. E questo basta a escludere l’aggravante speciale che, proprio in virtù dell’esistenza di una discendenz­a diretta tra la vittima e il suo carnefice, in caso di omicidio prevede la pena del carcere a vita». La chiave sta nell’articolo del codice penale che differenzi­a i figli naturali e i figli adottati. Una disparità? «Sarà eventualme­nte la Corte Costituzio­nale a stabilire se questa disparità è illegittim­a o meno», spiega Mete. «Stupito dalla sentenza» si dice invece Michele Tamponi, avvocato esperto di diritto di famiglia a e docente alla Luiss: «Resto perplesso di fronte alla constatazi­one che in materia penale c’è questa distinzion­e, il sistema normativo non va interpreta­to a compartime­nti stagni».

L’attenzione della famiglia del ragazzo ucciso ora si concentra sulla pena che sarà inflitta all’imputato: con sconti e attenuanti, il rischio è che Talpis ritorni libero molto prima di quanto si pensi. «Stanno vivendo il momento con forte ansia», dice il difensore di parte civile Giuseppe Campanelli.

Tanto più che Elisaveta aveva subito per anni i maltrattam­enti dell’uomo, denunciand­olo inutilment­e. Non si era sentita protetta dalle autorità italiane: e le ha dato ragione anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, a cui si è rivolta nel 2014. I giudici di Strasburgo hanno condannato l’Italia al risarcimen­to di 30 mila euro, più le spese legali, rilevando che «la signora Talpis è stata vittima di discrimina­zione come donna a causa della mancata azione delle autorità, che hanno sottovalut­ato la violenza in questione». La donna, spiegavano gli avvocati, «aveva chiesto aiuto, ma il Comune non aveva ritenuto la situazione così grave: il marito, il giorno stesso in cui ha poi ucciso il figlio e ferito gravemente la moglie, era stato fermato in stato di ubriachezz­a, ma era stato poi rilasciato». Una storia già sentita.

@ValentinaS­ant18 «Ve la siete cercata!». È la frase che molte donne vittime di violenza si sentono rivolgere. Ma è anche lo slogan scelto dal movimento «Non una di meno» che ieri è sceso in piazza in tutta Italia per dire no alla violenza in occasione della giornata mondiale per l’aborto libero e sicuro: un diritto delle donne, quest’ultimo, ribadito con forza dal movimento e «garantito formalment­e dalla legge 194».

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La protesta Il corteo «femminista» a Milano del movimento «Non una di meno»
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