«Un’accusa è archiviata» Grillo, Casaleggio e Di Maio pronti a difenderla anche con una condanna
L’idea di non rimuoverla sostenendo che nel suo falso non c’è dolo
L’autosospensione In caso di sentenza sfavorevole potrebbe autosospendersi e poi essere invitata a restare Le regole Lo statuto dei 5 Stelle scatta già sui reati puniti in primo grado Ma si può intervenire
«Cambiate repertorio». Luigi Di Maio replica secco ai cronisti che si ostinano a chiedergli della notizia del giorno, la richiesta di rinvio a giudizio di Virginia Raggi. Più tardi chiarisce: «Archiviate le accuse per cui la stampa ci ha infangato». Nella furia di incolpare i giornali, Di Maio dimentica di citare l’accusa di falso, a parte la rituale «fiducia nella magistratura». Ma non è un’omissione casuale. Perché Grillo, Casaleggio e il nuovo leader politico non hanno alcuna intenzione, per ora, di mollare la sindaca di Roma. Ci sarebbe il codice M5S, che dice il contrario. Ma i codici sono fatti per essere interpretati e quel che era vero ieri potrebbe non esserlo domani. E se il poco allineato Carlo Sibilia dice che «non stappiamo champagne, ma siamo costretti a guardare il bicchiere mezzo pieno», a Genova Grillo ha accolto la notizia con entusiasmo e ha brindato, se non a champagne, a Pigato.
L’unica a dire esplicitamente che la Raggi potrebbe essere salvata è Giulia Sarti. La domanda è semplice: in caso di condanna in primo grado, l’esclusione da M5S sarebbe automatica? La risposta è meno semplice ma chiara: «Abbiamo detto e ridetto che la sindaca ha fatto una str... a tenersi vicino Marra, quando tutti le spiegavamo che non era il caso. Ma le accuse più gravi ora sono cadute. Rimane il falso, certo, ma bisogna vedere cosa scriveranno i giudici. E in caso di condanna non ci sarebbe un’incompatibilità automatica. Dipenderà dalla gravità della condotta: si deciderà in base al buon senso».
Il «buon senso» suggerisce al Movimento di difendere la sindaca, perché sono in arrivo le Regionali e le Politiche e non si può perdere Roma. Dopo si vedrà. Il piano A, messo a punto dai vertici, prevede il sostegno alla sindaca. Con un punto preliminare: la Raggi, intervenuta la condanna, si autosospenderà, sul modello di quanto avvenuto a Bagheria. A quel punto, i vertici le chiederanno di tornare al lavoro. Il piano B , considerando che la possibile condanna dovrebbe sopraggiungere dopo le elezioni, prevede che il Movimento valuti: nel caso in cui Roma continui a sprofondare, potranno usare come scusa la condanna per allontanare la sindaca. Viceversa, la difenderanno.
Già, ma come si fa a superare lo scoglio del Codice pubblicato il 27 settembre sul blog? Le norme recitano: «È considerata grave ed incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del MoVimento 5 Stelle la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo», esclusi i reati di opinione. Nessun dubbio, a prima vista, sul fatto che il caso si attagli alla sindaca.
Ma il diavolo si nasconde nei dettagli, e nella politica. La parola «dolo» offre un appiglio. Giuridicamente, è ovvio che il falso sia fattispecie che si commette con dolo, ovvero «coscienza e volontà». Politicamente, invece, pare di no. Perché è stata esclusa l’aggravante di aver commesso il reato di falso nella consapevolezza di coprire l’altro reato, l’abuso d’ufficio. Non solo. Allora la Raggi era inesperta e senza capo di gabinetto. I veleni del Campidoglio avrebbero fatto il resto, come Grillo ha già detto e ripetuto ai suoi in queste ore: «La Raggi è caduta in una trappola. Ci sono dirigenti che lavorano per i partiti e non per il bene comune. Dovremmo fare un assessore alle trappole». Alfonso Bonafede giudica poco rilevante il reato di falso: «Le accuse al sindaco Sala sono ben più gravi». Non solo. L’autosospensione, come prevede l’ultimo comma dell’articolo 3 del codice di Grillo, è «un comportamento suscettibile di attenuare la responsabilità disciplinare». Dunque, niente dolo. E buona condotta, grazie all’autosospensione. A chiudere il cerchio, la minimizzazione del reato. Andrea Colletti, avvocato, spiega: «Il falso non ha danneggiato l’Amministrazione né altri». «L’abuso — aggiungono i vertici — era un reato ben più grave, perché avrebbe fatto scattare la Severino. Il falso cos’è? Si basa su un foglietto dell’Anac e niente più». Eppure, anche qui c’è un «equivoco». Perché è vero che l’abuso di ufficio avrebbe fatto scattare la sospensione. È anche vero però che il falso è un reato più grave, punito con una pena superiore. Ma le strade della politica non sempre coincidono con quelle del diritto.