La regista Coixet: un clima d’odio contro chi non è indipendentista
Penelope Cruz ha voluto lei per la regia di Lezioni d’amore. Scrive e dirige film sensibili, che scavano nei sentimenti delle persone. È una donna famosa, premiata tante volte, ma ciò non ha evitato a Isabel Coixet una valanga di insulti sui social. «Un vero linciaggio», dice.
Qual è stata la sua colpa?
«Aver alzato il dito con un articolo su El País per dire: attenzione non tutti i catalani sono per l’indipendenza di Barcellona dalla Spagna».
Nonostante quegli insulti ha poi firmato il manifesto degli intellettuali di sinistra contro la «truffa» del referendum?
«Sì».
Recidiva. Coraggiosa.
«Dovevo farlo anche per chi non ha la forza di esporsi. Quel che sta succedendo in Catalogna, il clima di intimidazione ed esclusione che vivono i contrari al secessionismo, mi ricorda i Paesi Baschi degli anni ’80 e ’90 quando erano frequenti le minacce e i ricatti a chi non la pensava come gli amici dei terroristi. Però, rispetto ad oggi, violenza fisica a parte, quell’attitudine aggressiva non fu mai alimentata dai governi baschi. Mai».
La tensione è solo colpa della Generalitat catalana, dei suoi leader politici?
«Siamo in un momento nel quale tutti dovrebbero abbassare i toni per sedersi a discutere. Il governo centrale di Madrid non vuole ascoltare la domanda legittima degli indipendentisti che vogliono contarsi. Una rivendicazione legittima che merita un voto vero, con censimento, quorum, osservatori neutrali, una campagna a favore e una contro. Merita democrazia».
Questi sono gli errori di Madrid. E la Generalitat?
«Al Palau invece di lavorare in questa direzione tengono orecchie e bocche chiuse perché in fondo sanno di non essere maggioranza. In questo momento ai separatisti conviene il martirologio, il costante vittimismo. Però se nè Madrid nè Barcellona faranno il primo passo, il confronto porterà a cose molto brutte».
È un problema essere anti indipendentista oggi in Catalogna?
«Lo è. Il paradosso è che davvero spero che prima o poi si possa fare un referendum con tutti i crismi della legalità. Perché così si capirà che i catalani non sono solo quelli che scendono in piazza. Gli altri come me, i contrari, non escono, non si fanno sentire».
Se il referendum ci fosse, lei però voterebbe contro.
«Sono catalana, parlo catalano e leggo letteratura catalana. Ma amo anche scrittori spagnoli, francesi, di tutto il mondo. Elias Canetti, assieme a tanti altri non catalani che mi hanno ispirato, pensava che l’essere umano fosse qualcosa di più della sua nazionalità, che avessimo un’anima che travalica gli Stati e anche la lingua. Da bambina volevo viaggiare, conoscere il mondo, non rinchiudermi. La Catalogna è troppo piccola, non vedo quale sia il problema di avere un’identità duplice: anzi il bilinguismo è un vantaggio, ti apre la mente e ti prepara ad altre lingue».
Come regista ha lavorato nell’ex Jugoslavia, girato dei documentari in luoghi e momenti difficili. Vede sulle Ramblas gli indizi di quella tragedia?
«Nei Balcani esisteva il fattore religioso, cattolici e ortodossi, cristiani e musulmani, che per fortuna qui non esiste. Non per questo siamo al riparo. Dieci anni fa c’era un piccola crepa tra spagnoli e catalani, oggi il solco è profondo».
Sarebbe materia per un film?
«Prima non ci pensavo, non ne vedevo la necessità perché sembrava qualcosa di impossibile. Ora invece è troppo urgente, vicino e per me doloroso. Il sogno politico larvato era lì, ma è stato adoperato come ciambella di salvataggio dai politici e dal 10-20% gli indipendentisti sono arrivati quasi al 50% in pochissimo tempo».
Come se lo spiega?
«Attorno al 2010 la Spagna come tutta Europa è entrata in una crisi economica brutale. Qui più che altrove c’è stata una disoccupazione anche giovanile che ha azzoppato famiglie e sogni. La politica ha risposto con l’immobilismo, senza idee, senza progetti. A Madrid è nato il movimento degli Indignati e anche a Barcellona la gente è scesa in piazza. Ma in Catalogna c’era a disposizione l’indipendentismo e l’hanno usato come strumento di distrazione”.
C’è una soluzione?
«Se si vuole una soluzione democratica, si trova».
Spero che si possa fare presto uno scrutinio con tutti i criteri di legalità: si capirà che i catalani non sono quelli che scendono in piazza