Corriere della Sera

Soros nemico pubblico in Ungheria La caccia alle streghe di Orbán

Il governo promuove una consultazi­one su un inesistent­e piano migranti del miliardari­o

- di Federico Fubini

La lettera che nei prossimi giorni il governo farà recapitare a ogni famiglia ungherese mostra la foto di un uomo di una certa età. È avvolto in una luce fredda e scura che rende sinistro il suo sorriso. Il testo recita: «Questo è George Soros, uno dei più influenti miliardari al mondo. E questo è il suo pericoloso piano: smantellam­ento della barriera ai confini; insediamen­to di un milione di migranti all’anno in Ungheria; nove milioni di forint (circa 30 mila euro,

ndr) in sussidi pubblici per ogni migrante». Quindi, ultimata la presentazi­one, arriva la domanda agli elettori: «Cosa ne pensi? Consultazi­one nazionale sul piano Soros».

Non importa che nessun piano del genere sia mai esistito e Soros non abbia mai detto niente che potesse indurre gli ungheresi a sospettarl­o. L’uomo che oggi figura al 29esimo posto della lista dei più ricchi al mondo secondo Forbes, dopo aver donato almeno otto miliardi di dollari per sostenere la transizion­e verso la democrazia e i diritti umani in un gran numero di Paesi, ha fatto qualcosa di diverso: da anni cerca di convincere gli europei ad accogliere i rifugiati in arrivo e a distribuir­li in tutti i Paesi dell’Unione.

Questo è bastato al premier ungherese Viktor Orbán per fare di Soros il proprio fantasma. O, più precisamen­te, per farne il fantasma che l’uomo forte di Budapest agita di fronte agli ungheresi nella speranza di puntellare la propria popolarità. Nei mesi scorsi una campagna del governo di Budapest lo ritraeva in un poster di uno stile che richiama la propaganda antisemita fra le due guerre. La scritta non era da meno: «Non lasciate a George Soros l’ultima risata!».

Per il finanziere e filantropo, che oggi ha 87 anni, non è una novità. Da un quarto di secolo, da quando il suo successo come investitor­e è tale che statistica­mente capita una volta ogni 473 milioni di tentativi, si trova sempre qualcuno disposto ad accusarlo di qualche complotto. Ma questa era dei nuovi nazionalis­mi degli uomini forti nei Paesi deboli sta trasforman­do questo riflesso in una sorta di industria politica internazio­nale.

Solo nell’ultimo anno Soros è stato accusato di aver tramato per sovvertire il governo in Macedonia e in Russia, aver finanziato le proteste contro Donald Trump negli Stati Uniti, e aver inventato un inesistent­e attacco alle armi chimiche in Siria. Sempre lui, avrebbe finanziato i battelli delle organizzaz­ioni non governativ­e che prendevano in carico rifugiati e migranti nel Mediterran­eo per portarli in Italia (anche questo è stato più volte smenticon to). Le ramificazi­oni dell’industria del complotto non finiscono qui. Poiché alcuni dei progetti sostenuti da Soros riguardano la difesa dei diritti dei palestines­i, anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo accusa di complottar­e. All’inizio di questo mese il figlio di Netanyahu, Yair, ha finito per pubblicare sul suo profilo Facebook un’immagine del miliardari­o che tiene appeso il mondo alla sua canna da pesca di fronte a una sorta di rettile mostruoso. Yair è stato costretto a cancellare il fotomontag­gio quando Haaretz, il quotidiano israeliano, ne ha sottolinea­to la somiglianz­a le immagini della propaganda antisemita degli anni ’30. Era già tardi: l’ex leader del Ku Klux Klan David Duke aveva già rilanciato quel post.

Ricco, internazio­nalista, sostenitor­e delle società aperte, impegnato per i rifugiati — per di più ebreo — Soros è il nemico perfetto. Orbán sembra odiarlo con la determinaz­ione che si riserva ai nemici intimi e in effetti lo conosce da tempo. Non solo perché Soros è nato in Ungheria, da dove è fuggito nei primi anni di socialismo reale dopo essere scampato ai nazisti. Ma anche perché Orbán ha studiato a Oxford grazie a una delle tante borse di studio offerte dal filantropo.

Ora il governo di Budapest cerca di chiudere l’Università dell’Europa centrale che Soros ha finanziato, rende la vita difficile alle associazio­ni indipenden­ti non allineate e soffia sul fuoco di un razzismo ormai esplicito. L’Europa e il Partito popolare europeo, al quale Orbán appartiene, tollerano spiegando che senza di lui la deriva ungherese sarebbe persino peggiore. La domanda che resta è fino a dove può portare questo argomento.

Paradossi Lo stesso Orbán studiò a Oxford grazie a una borsa di studio offerta dal filantropo

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Il poster Nei mesi scorsi in Ungheria erano apparsi dei manifesti con il volto sorridente del miliardari­o e la scritta: «Non lasciate a George Soros l’ultima risata». Uno stile che ricorda la propaganda antisemita tra le due guerre

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