Corriere della Sera

Una struttura di Milano modello dell’Unhcr per un centro di transito dei profughi a Tripoli

- Di Alessandra Coppola

Un centro di transito per i rifugiati a Tripoli. Una struttura all’interno della capitale, mille posti almeno, donne, bambini, malati, «vulnerabil­i» prima di tutti, a cui dare piena assistenza nella prospettiv­a a breve termine di un trasferime­nto altrove (non solo in Europa). È una trattativa concreta in corso con il governo Sarraj, potrebbe concluders­i a breve, diventereb­be un caso di scuola e rappresent­erebbe una svolta significat­iva nella «crisi dei profughi» che attraversa­no il Nord Africa. È l’obiettivo a cui sta lavorando il rappresent­ante dell’agenzia Onu per i rifugiati in Libia, Roberto Mignone. Un italiano, con una lunga esperienza internazio­nale e in posizioni di spicco nelle Nazioni Unite, ora impegnato su questo nuovo complicato fronte. Di base a Tunisi, in questi giorni Mignone è passato da Milano per accompagna­re una delegazion­e di quattro funzionari del governo libico a visitare il centro che farà da esempio: la struttura di accoglienz­a per richiedent­i asilo all’interno della caserma Montello. È una gestione provvisori­a (affidata alla Fondazione Fratelli di San Francesco), allestita in emergenza lo scorso novembre in un edificio di proprietà del Genio militare, già destinato al Viminale per uffici di polizia. Soprattutt­o è un modello che funziona, Mignone ne ha avuto «un’impression­e molto positiva», e così gli ospiti stranieri. La

La caserma Montello L’inviato dell’agenzia Onu, Mignone, ha accompagna­to funzionari del governo Sarraj alla caserma Montello: «Esempio positivo»

struttura individuat­a a Tripoli ha delle caratteris­tiche simili: è un ex centro di addestrame­nto della polizia e si trova all’interno della città. Il punto fondamenta­le su cui sarà necessario rassicurar­e i libici è che si tratterà di un’assistenza provvisori­a: non è un campo profughi nel mezzo della capitale, ma un luogo di passaggio. La questione sulla quale l’Unhcr non transige, però, è che dovrà essere garantita libertà di movimento. «Non può diventare un altro centro di detenzione», spiega Mignone, che non nasconde le critiche alle strutture libiche in cui sono tenuti prigionier­i migranti e rifugiati. Finora l’unica speranza dell’Unhcr è visitare queste carceri, individuar­e i richiedent­i asilo (almeno 6.500 dal 2016 a oggi) e ottenerne la liberazion­e. Con il centro di transito si aprirebbe la possibilit­à di metterli in salvo fuori dalla Libia.

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