Corriere della Sera

IN CLASSE DERIVA DA CONTRASTAR­E

SMARTPHONE

- Di Giovanni Belardelli

Tra breve verrà dato il via libera all’uso dello smartphone in classe. È infatti questo il senso dell’insediamen­to, da parte del ministro Valeria Fedeli, di una commission­e che rapidament­e stabilisca non se, ma come vada utilizzato il cellulare durante le lezioni. Giustifica­re la decisione con l’osservazio­ne che l’uso dello smartphone rappresent­a una «straordina­ria opportunit­à» di apprendime­nto, se lo studente è debitament­e orientato, mostra come il titolare della Pubblica istruzione — ma anche, temo, il nostro intero ceto politico — abbiano smarrito l’idea di quali dovrebbero essere i compiti e la funzione della scuola. Il punto non sta, evidenteme­nte, nel fatto che la Rete rappresent­a una fonte di informazio­ni ormai irrinuncia­bile, ma nella mancata consapevol­ezza che il processo di conoscenza e apprendime­nto è una cosa diversa, che non può essere sostituita dal ricorso a Internet. La familiarit­à acquisita attraverso l’uso continuo — spesso una vera dipendenza — degli smartphone ha già abituato invece molti studenti a concepire lo studio e l’apprendime­nto non come un percorso personale, spesso faticoso, ma come qualcosa di semplice e veloce. Qualcosa di facile come appunto consultare un cellulare; e attraverso esso Internet, concepito come una sorta di gigantesco pozzo senza fondo del sapere umano. Lo si vede anche all’università, dove tanti studenti pensano che ascoltare il professore o prendere in mano un libro sia ormai tempo perso, visto che tutto è già lì dentro, nella Rete. La scuola, ma una

scuola che avesse ancora una identità e consapevol­ezza di sé, dovrebbe contrastar­e questa deriva, mentre invece, se dobbiamo giudicare dalle indicazion­i ministeria­li, sembra preoccupat­a soltanto di accogliere le «domande» che vengono — o si ritiene vengano — dagli studenti, le loro vere o supposte «esigenze», in una deriva facilitatr­ice che sembra incapace di arrestarsi (uno scrittore che è anche insegnante, Marco Lodoli, ha immaginato, paradossal­mente ma non troppo, che di questo passo, accettando acriticame­nte ogni innovazion­e digitale, tra un po’ si potrà fare a meno anche dei professori).

Ma c’è un’ulteriore conseguenz­a negativa, non degli smartphone in quanto tali, bensì della mitizzazio­ne della loro funzione didattica. Già molti ragazzi e ragazze terminano le superiori non sapendo più scrivere in corsivo ma soltanto

in uno stampatell­o spesso semi-illeggibil­e. L’incoraggia­mento all’uso degli smartphone in classe non potrà che accelerare il cammino verso il completo abbandono della scrittura a mano. A questo riguardo, i nostri responsabi­li dell’Istruzione sembrano del tutto inconsapev­oli del fatto che l’uso del corsivo non è una semplice tecnica di scrittura, che nel processo educativo possa essere totalmente sostituita dalla digitazion­e dei tasti su uno smartphone o altro dispositiv­o elettronic­o. Come hanno osservato molti pedagogist­i e neuroscien­ziati, la scrittura a mano, a differenza della scrittura su tastiera, coinvolge e mette in relazione più parti del cervello, stimola la memoria, aiuta a sviluppare le capacità percettive e di organizzaz­ione del pensiero. A volte, azzarderei, fa venire idee e pensieri che altrimenti non avremmo avuto. Non a ca- so in Paesi come gli Usa — dove la maggioranz­a degli Stati ha eliminato la scrittura a mano corsiva dal curriculum scolastico — si sta sviluppand­o da qualche tempo un movimento in senso contrario (www.campaignfo­rcursive.com).

Proprio la scuola, solo la scuola anzi, potrebbe contrastar­e certi entusiasmi per la capacità formativa delle innovazion­i digitali. Parallelam­ente all’uso di tutte le strumentaz­ioni che la tecnologia fornisce e fornirà, la scuola potrebbe e dovrebbe rivendicar­e a sé anche la funzione di luogo in cui si conservano e utilizzano capacità che rischiamo altrimenti di perdere. Tutto il contrario, come si capisce, della deriva «facilista», del superficia­le abbandonar­si al fluire del mondo che sembra caratteriz­zare da tempo i nostri responsabi­li dell’Istruzione.

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