E la battaglia di Slow Food sul clima sbarca in Cina
Il futuro di Slow Food passa dalla Cina. È iniziato oggi a Chengdu il settimo Congresso internazionale dell’organizzazione che per la prima volta in trent’anni si riunisce nella Repubblica Popolare. Al centro dei lavori dei 400 delegati, provenienti da 90 Paesi, che dureranno fino a domenica, sono due temi fortemente connessi tra loro: biodiversità e climate change. «Dobbiamo prendere coscienza che il sistema alimentare globale è vittima e carnefice del cambiamento climatico», spiega Petrini. «Vittima, perché questo fenomeno è causa di impoverimento del suolo, perdita di risorse idriche e siccità. Ma anche carnefice, dato che è responsabile del 34% delle emissioni che creano l’effetto serra: percentuale superiore a quella dei trasporti». In un momento in cui l’accordo di Parigi sul clima è messo in discussione dalla scelta di Donald Trump di ritirare gli Usa dai patti, Slow Food lancerà da Chengdu una campagna, «Menu for change», per lottare contro il riscaldamento globale attraverso la creazione di una maggiore sostenibilità del sistema alimentare. «E non a caso presentiamo questa nuova battaglia in Cina — afferma Petrini —, un Paese che sta affrontando una sfida enorme: nutrire un quinto dell’umanità avendo a disposizione solo il 7% dei terreni agricoli e che negli ultimi anni si è reso conto della grave situazione di inquinamento in cui era caduto a causa di industrializzazione e inurbamento. Così, oggi, il suo governo sta lavorando a scelte drastiche per ridisegnare l’economia agricola su logiche ambientali e salvare la biodiversità». Da questo congresso partirà anche una nuova strategia di alleanze, che rappresenta il futuro dell’organizzazione di Petrini, volta a creare una rete mondiale sempre più vasta. «In Cina lavoriamo col Movimento di ricostruzione rurale per favorire un rinnovamento moderno delle campagne, che è la chiave del rilancio ambientale del Paese».