Il signore che amava i piaceri e l’alchimia Francesco I e quella vita votata al sapere che diventò «contemplazione da studiolo»
Non sappiamo come andò veramente: se fu avvelenamento o malaria. Il mistero della malattia e della morte quasi simultanea di Francesco I e della sua seconda moglie Bianca Cappello forse non sarà mai risolto e continuerà ad alimentare la leggenda di un omicidio consumato in famiglia. Fu davvero il cardinale Ferdinando, fratello del signore di Firenze, ad avvelenare la coppia per poi, lasciata la porpora cardinalizia, ereditare la corona? Oppure fu la malaria a infliggere dieci giorni di febbri, vomito e atroci dolori fino alla morte prima di Francesco e poi di Bianca, uno all’insaputa dell’altra a causa dell’incoscienza, in due stanze diverse della villa di Poggio a Caiano?
Autopsie di visceri e riesumazioni dei cadaveri non hanno dissipato le voci di avvelenamento che persistono nonostante le prove scientifiche tendano ad escludere l’ipotesi fratricida.
Di certo c’è che Ferdinando era il primo dei molti che detestavano «la pessima Bianca», affascinante veneziana a lungo concubina e infine sposata da Francesco subito dopo la sospirata morte della moglie Giovanna d’Austria. Così ai funzionari che gli chiedevano istruzioni per la sepoltura della seconda sposa, Ferdinando rispose «dove volete, ma non con noi», cioè non nelle tombe medicee dove Francesco fu sepolto accanto all’arciduchessa d’Austria.
Più che le sacre scritture, a Ferdinando interessava il potere mentre Francesco era stato più distratto dai piaceri dell’arte e dell’alchimia, motivi per i quali è passato alla storia. Una delle meraviglie di Firenze è ancora oggi lo studiolo che si fece approntare a Palazzo Vecchio: «Lo stanzino ha da servire per una guardaroba di cose rare et pretiose, et per valuta et per arte, come sarebbe a dire gioie, medaglie, pietre intagliate, cristalli lavorati et vasi, ingegni et simil cose, non di troppa grandezza, riposte nei propri armadi, ciascuna nel suo genere». Alla sua decorazione, compiuta fra il 1570 e il 1575 con un complesso programma iconografico predisposto da don Vincenzo Borghini sul tema del rapporto fra Natura e Arte, parteciparono trentuno fra pittori e scultori capeggiati da Giorgio Vasari, così da scrivere una summa del manierismo fiorentino.
Se lo studiolo era lo spazio contemplativo, quello «operativo» si trovava nei laboratori allestiti nel Casino di San Marco dove il granduca si cimentava in esperimenti alchemici assieme agli esperti convocati da ogni parte d’Europa: distillazione di oli sublimati e terapeutici, fusione del cristallo di rocca, soffiatura del vetro, taglio di pietre dure e preziose, imitazione della porcellana cinese, queste ultime due fra le passioni predominanti. Di sicuro non trovò la pietra contro l’invidia né tanto meno l’elisir di lunga vita.
Dopo la sua oscura morte, il Casino venne donato a don Antonio de’ Medici, il figlio avuto dall’allora amante Bianca ma riconosciuto da Francesco. La leggenda vuole però che lei avesse simulato la gravidanza e sottratto il figlio a un’altra donna incinta con lo scopo di offrire a Francesco il discendente maschio che Giovanna d’Austria non riusciva a dargli. Non sapremo mai la verità. In ogni caso il solito Ferdinando provvide a delegittimare don Antonio, che gli avrebbe sbarrato la strada verso il potere, in cambio di un cospicuo appannaggio.
La fine misteriosa Francesco I de’ Medici morì in circostanze mai chiarite, in simultanea con la moglie Bianca
Il luogo dell’anima Alla decorazione del suo studiolo presero parte 31 tra pittori e scultori, in primis Vasari