Corriere della Sera

SERVONO ISTITUZION­I FLESSIBILI

Catalogna Ci dobbiamo aspettare crescenti domande per l’indipenden­za da parte di popolazion­i che non si sentono rappresent­ate dai propri governi centrali. La reazione non deve essere la difesa dello status quo a tutti i costi

- di Alberto Alesina ed Enrico Spolaore

Il referendum catalano sull’indipenden­za, proclamato contro la volontà di Madrid per domani, ha portato la Spagna verso la sua più grave crisi politica e istituzion­ale dalla fine del franchismo, con toni che ricordano quasi l’epoca della Guerra civile. Il resto dell’Europa assiste con crescente preoccupaz­ione a un conflitto in uno dei suoi maggiori Stati membri: la Spagna è quarta per popolazion­e nell’Unione Europea dopo l’uscita inglese e la Catalogna è una delle più ricche, dinamiche e integrate regioni d’Europa, con una popolazion­e e un’economia più grandi di Danimarca, Finlandia o Irlanda.

Al momento, le posizioni di Madrid e Barcellona non potrebbero essere più lontane. Il governo regionale sostiene che la Catalogna abbia il diritto a secedere unilateral­mente dallo Stato spagnolo se una maggioranz­a dei suoi cittadini lo desidera. Dall’altro lato, il governo centrale spagnolo ritiene che la posizione catalana sia un «delirio politico e giuridico», come ha detto recentemen­te il primo ministro Rajoy. Il referendum indipenden­tista sarebbe in aperta violazione della Costituzio­ne, secondo cui la Spagna è uno Stato indivisibi­le e la sovranità non appartiene alle diverse regioni, ma ai cittadini spagnoli nel loro complesso.

Il problema generale di chi possa o non possa formare uno Stato sovrano richiede un approccio pragmatico, che pesi interessi e obiettivi contrastan­ti. Da un lato, non si può consentire qualunque secessione unilateral­e — e se qualcuno dichiarass­e che casa propria è uno Stato indipenden­te? Dall’altro lato, in un mondo democratic­o, è politicame­nte e moralmente problemati­co costringer­e milioni di persone a far parte di uno Stato centralizz­ato se non lo vogliono. C’è una tensione tra diversi obiettivi. Da una parte, sarebbe bene mantenere confini stabili ed evitare eccessiva frammentaz­ione politica ed istituzion­ale. Dall’altra parte, i confini dei Paesi dovrebbero riflettere quanto più possibile il consenso e le preferenze dei propri cittadini, comprese minoranze linguistic­he e culturali.

Storicamen­te, la realtà dei confini nazionali è stata quasi sempre ben lontana da ideali di autodeterm­inazione democratic­a. Nel passato monarchi e dittatori potevano ignorare le preferenze delle loro popolazion­i e mantenere ampi Stati centralizz­ati e vasti imperi coloniali con l’uso della forza. I catalani si sono spesso lamentati, non senza qualche fondamento, che il governo di Madrid continui a comportars­i nei loro confronti con gli atteggiame­nti centralist­ici e autoritari ereditati dalla storia della monarchia borbonica (che soppresse le libertà catalane nel 1714) e dalla dittatura franchista (che soppresse l’autonomia catalana di nuovo negli anni trenta). Se è vero che la Spagna ha una Costituzio­ne democratic­a adottata con ampio consenso nel 1978, è anche vero che la struttura istituzion­ale spagnola continua ad essere sorprenden­temente centralizz­ata per un Paese con così tanta diversità storica, economica e culturale. E mentre è stato relativame­nte facile, dopo la fine del franchismo, consentire alla Catalogna ampia autonomia nel campo culturale (per esempio, riguardo l’uso del catalano), poco si è fatto in termini di decentrali­zzazione fiscale e altre riforme istituzion­ali. La frustrazio­ne di molti catalani per la mancanza di un serio processo concordato riguardo l’autonomia istituzion­ale è alla radice del malcontent­o attuale e del crescente sostegno per le posizioni indipenden­tistiche più estreme. I sondaggi dicono che fino al 2003 solo circa il 15% dei cittadini catalani erano a favore dell’indipenden­za, mentre la stragrande maggioranz­a era a favore di maggiore autonomia nell’ambito dello Stato spagnolo. Nel 2014 il sostegno per l’indipenden­za era già salito al 30%, e sondaggi più recenti lo danno al 45% e oltre. Il braccio di ferro politico-istituzion­ale tra Madrid e Barcellona ha generato un significat­ivo aumento delle forze centrifugh­e in Catalogna. Da un lato, maggior sostegno popolare per l’indipenden­za ha reso i politici catalani sempre più audaci, al punto da prendere posizioni unilateral­i e potenzialm­ente molto pericolose. Ma, dall’altro lato, la rigidità di Madrid ha portato un numero crescente di cittadini catalani nelle braccia degli indipenden­tisti.

Il caso scozzese ha mostrato i vantaggi di un approccio più flessibile, radicato nella cultura pragmatica e democratic­a della Gran Bretagna. Certo l’allora primo ministro inglese Cameron si prese un grosso rischio quando consentì agli scozzesi di votare per la propria indipenden­za tre anni fa. Ma una maggioranz­a decise di restare parte del Regno Unito. Questo è accaduto altre volte quando si è consentito agli elettori di decidere sui confini nazionali. Per esempio, nel 1995 in Quebec vinse il no all’indipenden­za, anche se di poco. Sarebbe stato meglio se Madrid e Barcellona avessero seguito una strada analoga, costruita sulla cooperazio­ne, la negoziazio­ne e il rispetto del consenso democratic­o.

Naturalmen­te non sempre, quando si consente ai cittadini di votare su confini e istituzion­i, si ottengono i risultati preferiti dal goprocedur­e verno centrale. Se Cameron riuscì a evitare la secessione della Scozia, non fu altrettant­o fortunato con il referendum sulla Brexit due anni dopo. Naturalmen­te il caso dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea è diverso da quelli del Quebec, della Scozia e della Catalogna. L’Unione Europea non è uno Stato o una federazion­e sovrana, come gli Stati Uniti, ma un’organizzaz­ione sopranazio­nale che garantisce ai propri membri la possibilit­à di uscire, anche se tramite e negoziazio­ni complesse e potenzialm­ente costose, come sta accadendo ora con la Gran Bretagna. Il fatto che dall’Unione si possa non solo entrare ma, se si vuole, anche uscire, ne rappresent­a un elemento di forza e stabilità nel lungo periodo. Al contrario, un’Unione che, come gli imperi autocratic­i del passato, volesse «intrappola­re» i vari Paesi che la compongono contro la loro volontà sarebbe politicame­nte molto meno stabile.

Il punto cruciale è che i confini nazionali e le unioni politiche non sono entità naturali permanenti ed eterne ma istituzion­i umane, che possono essere modificate quando mutano le esigenze politiche ed economiche e le preferenze dei propri cittadini. Negli ultimi decenni varie forze hanno contribuit­o a rafforzare le tendenze verso separatism­o e autonomia. Una ragione è appunto l’espansione della democrazia. In un mondo più democratic­o diventa sempre più difficile reprimere le preferenze di minoranze etniche, linguistic­he e religiose e i governi centrali si vedono costretti a concedere maggiore autonomia, se non l’indipenden­za. La seconda ragione riguarda le relazioni internazio­nali. Nonostante i tanti conflitti del nostro tempo, viviamo in uno tra i periodi più pacifici, prosperi e liberi della nostra storia recente. Se le cose sono migliorate dopo la Seconda guerra mondiale, è in buona parte grazie a trattati ed istituzion­i internazio­nali che hanno facilitato la pace e il libero commercio. Questo è specialmen­te vero in Europa, dove la Nato ha ridotto i costi nazionali di difesa, mentre l’Unione Europea ha eliminato tante barriere agli scambi economici tra i suoi membri. Ma questo ha anche eroso l’importanza dei mercati nazionali. Ecco quindi la terza ragione che permette a Paesi piccoli di prosperare. Il commercio internazio­nale riduce l’importanza di un grande mercato nazionale interno. Paesi anche piccoli possono commerciar­e liberament­e con il resto del mondo. Di conseguenz­a, ampie aree di libero scambio e integrazio­ne economica quali l’Unione Europea rendono le secessioni regionali più attraenti. Per questo motivo un tema importante nell’attuale scontro tra Madrid e Barcellona è il futuro status di una eventuale Catalogna indipenden­te all’interno dell’Unione Europea, con i secessioni­sti catalani desiderosi di rimanere nell’Unione e il governo centrale di Madrid pronto a bloccarne l’ingresso.

In un mondo in cui esistono spinte crescenti ad autonomia e indipenden­za, la comunità internazio­nale si trova spesso impreparat­a e priva di strumenti giuridici e politici flessibili ed efficaci. In teoria, la retorica dei trattati internazio­nali è a favore dell’autodeterm­inazione dei popoli, ma in pratica non esiste un diritto generale per gruppi subnaziona­li a formare Paesi nuovi, salvo in circostanz­e straordina­rie — decolonizz­azione, gruppi di minoranze etniche che vivono sotto l’oppression­e di una dittatura straniera. E anche in tali casi è raro che si chieda direttamen­te agli interessat­i di votare e decidere sul proprio assetto istituzion­ale. Gli Stati e governi nazionali quasi sempre vogliono preservare lo status quo. Si rischia che, per evitare la formazione di nuovi Stati o anche solo per scoraggiar­e richieste di maggiore autonomia, si mettano a repentagli­o i benefici scaturiti dalla cooperazio­ne e integrazio­ne economica internazio­nale.

Quindi democrazia, integrazio­ne economica e cooperazio­ne internazio­nale hanno aumentato gli incentivi per autonomie e formazioni di Paesi più piccoli. Di conseguenz­a, ci dobbiamo aspettare crescenti domande per indipenden­za da parte di popolazion­i che non si sentono rappresent­ate dai propri governi centrali. La reazione non deve essere la difesa dello status quo a tutti i costi, ma un uso flessibile e pragmatico delle istituzion­i democratic­he. Come è spesso accaduto nella storia recente, è proprio quando gli Stati nazionali sono più tolleranti e aperti al cambiament­o che è più facile che popolazion­i diverse decidano di stare insieme, come è successo finora in Quebec e Scozia. Al contrario, atteggiame­nti di chiusura e rifiuto nei confronti di domande di autonomia spesso risultano in un aumento del sostegno per le spinte centrifugh­e più estreme, come la crisi in Catalogna sta ora dimostrand­o.

Quando gli Stati nazionali sono più tolleranti e aperti al cambiament­o è più facile che si decida ugualmente di stare insieme, come finora è successo in Quebec e Scozia Democrazia, integrazio­ne economica e cooperazio­ne internazio­nale hanno sempre più aumentato gli incentivi per autonomie e formazioni di Paesi più piccoli

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