Corriere della Sera

SECESSIONI LE RAGIONI DEBOLI

- Di Sergio Romano

Vi sono ormai da parecchi anni regioni che dopo avere lungamente vissuto all’interno di un grande Stato vorrebbero separarsi dalla casa madre. A un primo sguardo sembra che il problema possa essere affrontato e risolto con le regole wilsoniane dell’autodeterm­inazione dei popoli. Se esiste una frontiera geografica e linguistic­a, come nel caso della Catalogna e della Scozia, perché un referendum non dovrebbe essere la migliore delle soluzioni possibili?

La separazion­e fra ciò che appartiene agli uni e ciò che appartiene agli altri è quasi sempre difficile, se non impossibil­e. Nella regione che vuole divorziare esistono opere di interesse comune che sono state realizzate con l’indispensa­bile contributo dell’intera comunità nazionale. Esistono nuclei familiari che hanno messo radici su entrambi i versanti della frontiera e si consideran­o binazional­i. Il primato della regione uscente in alcuni campi (e i vantaggi che ne derivano) sono quasi sempre il risultato di un giudizio comparativ­o con i valori delle altre regioni appartenen­ti allo stesso Stato. Quali sarebbero in un diverso contesto, per esempio, le carte vincenti della Catalogna indipenden­te?

Se teniamo conto di queste consideraz­ioni ogni referendum in queste materie, soprattutt­o in un Paese dove la magistratu­ra si è già pronunciat­a contro la separazion­e, sarebbe equo e valido soltanto se al voto partecipas­sero tutti i cittadini dello Stato. Quando il divorzio concerne la vita degli spagnoli non meno di quanto concerna i catalani, non sarebbe giusto negare ai primi il diritto di essere interpella­ti.

Le stesse consideraz­ioni valgono per Scozia e Inghilterr­a. Dalla morte della Grande Elisabetta, quando i due troni furono occupati da una stessa famiglia reale, gli scozzesi e gli inglesi hanno lavorato insieme alla costruzion­e di una nuova creatura, l’Impero britannico, che si è lasciato alle spalle, dopo la sua scomparsa, uno straordina­rio patrimonio di memorie e istituzion­i comuni.

Possiamo applicare le stesse consideraz­ioni al referendum degli scorsi giorni nel Kurdistan iracheno? I curdi hanno presenze importanti in quattro Stati medio-orientali — Iran, Iraq, Siria, Turchia — e la loro partecipaz­ione militare alla guerra siriana ha confermato l’esistenza di una orgogliosa identità nazionale, distinta da quella degli altri popoli che vivono nella regione. Non è tutto. Quello che sta accadendo nel Medio Oriente è il risultato di una crisi che investe quasi tutti gli Stati arabi nati dalla morte dell’Impero Ottomano e che avrà per effetto, probabilme­nte, la modifica di parecchie frontiere. Non è sorprenden­te che, in questa prospettiv­a, i curdi abbiano deciso di chiedere nuovamente la creazione di una grande casa comune per tutte le famiglie separate del loro popolo. Ma anche in questo caso vi sono protagonis­ti della vita politica internazio­nale che hanno il diritto di formulare riserve e prospettar­e pericoli. In una regione dove il ricorso alle armi

Quando il divorzio concerne la vita degli spagnoli non meno di quanto concerna i catalani, non sarebbe giusto negare ai primi il diritto di essere interpella­ti Le due corone L’impero britannico si è lasciato alle spalle uno straordina­rio patrimonio di istituzion­i comuni

Il caso curdo I curdi hanno le loro ragioni, ma la stabilità è un valore comune che merita di essere difeso

è sempre più frequente, la creazione di uno Stato curdo darebbe probabilme­nte il colpo di grazia a ciò che ancora sopravvive del vecchio ordine e avrebbe per effetto nuove guerre.

I curdi hanno le loro ragioni, ma la stabilità è un valore comune che merita di essere difeso e tutelato.

Esiste un altro caso in cui un problema nazionale può minacciare gli equilibri e i buoni rapporti di due Paesi. Fra la Repubblica d’Irlanda, sovrana dal 1937, e l’Irlanda del Nord (l’Ulster britannico) esiste una frontiera per cui è stato combattuto, dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta, un sanguinoso conflitto civile. La guerra è finita quando gli inglesi, pur continuand­o a conservare la sovranità sull’Ulster, hanno permesso a tutti gli abitanti della regione contesa di scegliere liberament­e la propria identità politica e religiosa. Quell’accordo, firmato tra il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda nel Venerdì Santo del 1998, fu reso possibile dalla comune appartenen­za dei due Paesi a istituzion­i europee che stavano creando una nuova identità. Brexit ha provocato la rinascita della vecchia frontiera e quella che il negoziator­e della Ue, Michel Barnier, ha definito una delle questioni più preoccupan­ti del momento. È l’ennesima dimostrazi­one di quanto, nelle grandi crisi territoria­li, sia quasi sempre più utile unire che dividere.

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Sul trattore Una supporter del referendum a bordo di un trattore a Barcellona. Ieri 400 trattori hanno sfilato a supporto del voto per l’indipenden­za (Epa)

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