Gentiloni, la Finanziaria e la tregua armata con Mdp
Dai bersaniani un primo via libera alla Relazione che consente maggiore flessibilità
Non era così che Gentiloni confidava di arrivare all’atto finale (e fondamentale) della legislatura. Invece l’esame della legge di Bilancio si svolgerà in un clima arroventato da derby a sinistra che preoccupa il premier. Ma anche il Colle.
Nel mezzo dello scontro tra Pd e Mdp sulla legge elettorale, con lo Ius soli che divide i Democratici tra i fautori del dialogo con gli scissionisti e quanti vorrebbero chiudere i conti con gli ex compagni di strada, la prossima settimana al Senato si terrà una votazione che — andasse storta — avrebbe un costo politico elevato per i due partiti e un costo economico salato per il Paese. L’Aula di palazzo Madama dovrà esaminare la Relazione che accompagna il Def, e che — se approvata — consentirebbe al governo di diminuire la quota di riduzione strutturale del deficit, garantendo così una flessibilità di spesa che l’Europa dovrebbe poi avallare.
Ma per ottenere l’autorizzazione a sfruttare quel margine di dieci miliardi nella legge di Bilancio, Gentiloni avrà bisogno della maggioranza qualificata al Senato. E se nel corso della legislatura non è mai stato facile racimolare 161 voti in quel ramo del Parlamento, ancor più complicato sarà centrare l’obiettivo in una «fase schizofrenica» — come la definisce il premier — dove oltre l’umore dei singoli senatori, stressati per il loro destino personale, andrà valutato anche l’atteggiamento di Mdp: senza il suo appoggio, il governo andrebbe sotto.
Perciò la scorsa settimana — quando per rappresaglia contro il Rosatellum D’Alema disse ai suoi compagni che «noi dovremmo votare contro» — era scattato l’allarme rosso. E non solo a palazzo Chigi. L’idea che un braccio di ferro politico possa provocare un danno al Paese, aveva indotto il Colle a muoversi, richiamando le parti in conflitto alla «ragionevolezza» e al «senso di responsabilità». È un fatto che pochi giorni dopo lo stesso D’Alema, nell’intervista al Corriere, ha precisato che «noi non vogliamo la Trojka in Italia». E ancora l’altra sera l’ex premier ha ribadito che «Mdp sostiene il governo. E il nostro voto è determinante al Senato».
Appunto. Senza quel voto l’esecutivo entrerebbe di fatto in crisi, e pure se restasse in carica sarebbe costretto a una legge di Bilancio draconiana. Per di più scatterebbero le clausole di salvaguardia firmate dai governi precedenti con l’Europa: vere e proprie cambiali che porterebbero dal primo gennaio all’aumento dell’Iva e delle accise, per un ammontare di oltre quindici miliardi. Un’eventualità che il mondo produttivo e quello sindacale vorrebbero scongiurare. Una prospettiva che avrebbe un costo politico anche per Mdp, sospinto verso una deriva radicale con l’accusa peraltro di aver provocato una Finanziaria di stampo rigorista, in linea con il blocco conservatore europeo.
Per tutte queste ragioni l’area vicina a Bersani — a cui si rifà gran parte del gruppo scissionista al Senato — non vuole strappi con il governo sulla Relazione. Ma è solo una tregua armata in vista della legge di Bilancio, su cui Articolo 1 chiede di aver voce in capitolo da partito di maggioranza qual è. Ed è sul riconoscimento politico di Mdp che Gentiloni si trova sulla linea di fuoco tra chi mira a «de-renzizzare» il centro-sinistra e chi dall’altra parte punta a «bertinottizzare» gli ex compagni di partito, a isolarli per staccarli da Pisapia.
È una sfida che non sembra contemplare il pari. E infatti il muro dell’incomunicabilità invece di sgretolarsi continua ad alzarsi, se è vero quanto si raccontava ieri a Napoli, alla festa di Articolo 1, e cioè che alcuni ministri del Pd dopo aver accettato l’invito a partecipare ai dibattiti, avevano poi declinato, pressati dall’entourage del segretario. Che in effetti ha in Mdp il più acerrimo e scoperto avversario. Non è dunque casuale che a confermare l’appuntamento siano stati Franceschini e Delrio, come non è casuale il modo in cui il ministro delle Infrastrutture ha sconfessato la sottosegretaria Boschi sullo Ius soli, metafora dietro la quale si nasconde lo scontro tutto interno ai dem sulla necessità o meno di ripristinare un rapporto con gli scissionisti.
È in questo contesto che Gentiloni deve affrontare l’ultimo miglio di navigazione, con l’esigenza di tenere insieme i numeri della maggioranza e la volontà di non incrinare il rapporto con Renzi. Può darsi che le elezioni siciliane possano far cambiare lo scenario politico, ma nel frattempo c’è il delicatissimo voto al Senato e c’è la necessità di portare avanti in Parlamento la legge di Bilancio. Quando Bersani dice al premier che «dovete parlare anche con noi, non solo con Alfano», vuol far capire che non bastano più i contatti informali con i ministri né i segnali d’attenzione personali trasmessi da palazzo Chigi per via riservata. Ma siccome Mdp è nata in segno di discontinuità dalla linea renziana, il finale rischia di essere già scritto. Perciò Gentiloni è preoccupato. Perciò il Colle ha alzato uno scudo protettivo sul governo. E soprattutto sul Paese.
Lo scenario Senza il voto della sinistra al Senato il governo entrerebbe in crisi