Europa, in 19 per la web tax Gentiloni: possiamo procedere
Il premier: così faremo pagare le imposte a Facebook e Google. E vede Merkel
DAL NOSTRO INVIATO
Francia, Italia, Germania e Spagna fanno avanzare al massimo livello decisionale dell’Unione europea la proposta di una tassa sul fatturato dei giganti Usa del digitale, che finora hanno pagato imposte minime o quasi nulle in molti Paesi membri domiciliando la sede e società controllate nei paradisi fiscali. Nel Consiglio straordinario dei 28 capi di Stato e di governo dell’Ue sull’economia digitale, organizzato a Tallinn dalla presidenza estone di turno, il presidente francese Emmanuel Macron ha ufficializzato che «19 Paesi» sostengono questa «web tax». Macron ha anticipato anche l’orientamento a varare una «regolamentazione ambiziosa» per riequilibrare la attuale posizione dominante delle multinazionali della Rete principalmente «anglosassoni», che «non rispettano le regole del gioco» con la concorrenza europea. Il premier Paolo Gentiloni ha chiarito che, qualora non si arrivasse rapidamente al consenso generale sulla web tax, i Paesi favorevoli «non solo possono, ma devono lavorare in coordinamento tra loro anche con le cooperazioni rafforzate», che consentono di procedere da soli, perché questo «è un po’ il senso del documento concordato da Italia, Francia, Germania e Spagna a fine agosto a Parigi» e presentato al Consiglio di Tallinn.
Come previsto, le opposizioni sono arrivate principalmente dagli Stati Ue con regimi da paradiso fiscale (Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Malta, Cipro). Il premier irlandese Leo Varadkar ha sostenuto di avere l’appoggio anche di «Paesi scandinavi e baltici» già molto impegnati nello sviluppo del digitale. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che da premier del Lussemburgo era stato tra i principali frenatori delle iniziative Ue contro la grande evasione ed elusione fiscale, ha ricordato la competenza dell’Ecofin dei ministri finanziari per il lavoro operativo rafforzata, ma ancora inattuata. Dopo le proposte serve un ulteriore passo politico».
Irlanda, Lussemburgo, Cipro e Malta promettono resistenza. Sostiene il premier irlandese che se l’Europa vuole essere leader dell’economia digitale, la soluzione non è più tasse e più regole, ma è il contrario.
«Oggi l’Europa non è leader nell’economia digitale. L’Irlanda dice meno tasse uguale più sviluppo. Per gli altri Paesi invece più tasse uguale più gettito, quindi più equa distribuzione della ricchezza. Sono due visioni diverse».
Un rapporto del Parlamento europeo valuta che tra il 2013 e il 2015 la Ue ha perso gettito per 5,4 miliardi solo per i mancati versamenti di Google e Facebook.
«Ma 5,4 miliardi rispetto a quale modello impositivo? In questa fase le stime appartengono più al dibattito politico che all’analisi tecnica».
Tra le proposte allo studio figurano una tassa sul fatturato, una ritenuta sulle transazioni digitali e un’imposta sui messaggi pubblicitari. Qual è la più praticabile?
«E’ il passaggio più complesso. L’economia digitale produce un’enorme separazione tra il luogo dove si produce e il luogo dove si vende. Un parametro in qualche modo espressione del fatturato è la strada più ragionevole. Ad esempio, si parla di una “presenza digitale significativa” accanto alla stabile organizzazione: al di sopra di una certa soglia la società pagherebbe nel Paese dove fattura. Applicare una micro-fiscalità sulla singola operazione porrebbe invece grandi oneri di adempimento sui singoli consumatori».
@16febbraio
Non dimentichiamo il caso della Tobin Tax, ancora inattuata