Corriere della Sera

UN SIMULACRO DI UNITÀ PER CONTARE DOPO LE ELEZIONI

- Di Massimo Franco

Sta andando come era prevedibil­e: per quanto divisi sull’identità e sulla leadership del centrodest­ra, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini si preparano ad allearsi insieme con i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni; e a approvare col Pd una legge elettorale controvers­a, dalla quale ritengono di ottenere vantaggi reciproci. Il fondatore di Forza Italia ha annunciato che si incontrera­nno la settimana prossima, dopo rinvii e punzecchia­ture. È un gesto di realismo e la conferma che, senza una tregua, i loro partiti esalterebb­ero soltanto le proprie debolezze. E regalerebb­ero il primato al Movimento 5 Stelle e al Pd.

Non significa avere appianato i contrasti. Quando Berlusconi spiega che «il centrodest­ra deve vincere, perché sarebbe una iattura per l’Italia se prevalesse­ro forze definite populiste ma che io definirei in un altro modo», non pensa solo ai seguaci di Beppe Grillo. Lo spartiacqu­e è anche col leghismo di Matteo Salvini, che ha celebrato l’affermazio­ne dell’ultradestr­a alle recenti elezioni tedesche. L’opposto di FI: perché forse mai come nelle ultime settimane e nel prossimo futuro, invece, il berlusconi­smo si candida al ruolo di interlocut­ore della Cdu della cancellier­a Angela Merkel e del Partito popolare europeo in Italia; e dunque di argine contro le derive estremiste.

Forse è esagerato sostenere che l’emendament­o alla legge elettorale contro Berlusconi, presentato ieri dai Cinque Stelle, rispecchia il timore di essere fermati da lui. Ma certo rappresent­a un altro indizio che la loro campagna elettorale punta a conquistar­e pezzi del centrodest­ra. E cominciano a pensare che, per quanto ancora incandidab­ile e ultraottan­tenne, un leader di FI rilegittim­ato a livello europeo, possa arginare la deriva verso l’estremismo. Di questo filone culturale oggi ritenuto vincente, Salvini è uno degli interpreti. Si candida a presidente del Consiglio in competizio­ne aperta con Berlusconi; aperta, ma inutile. Con una legge elettorale ancora in embrione, e che probabilme­nte non darà a nessuno la maggioranz­a, il tema del premier diventa virtuale. Non a caso ieri l’ex Cavaliere ha ammesso che per deciderlo «c’è tempo». Non vuole accentuare lo scontro con Salvini e Meloni. E conta di dare comunque qualche carta dopo le elezioni politiche del 2018, forte dell’aggancio con il Ppe. Non pensa tanto a sé.

L’idea è di contribuir­e a mandare a Palazzo Chigi «personaggi di grande livello, esperienza e preparazio­ne culturale pronti a lasciare quello che stanno facendo in modo egregio, soprattutt­o nell’impresa, per dedicarsi al proprio Paese come ho fatto il nel 1994». È un identikit molto generico e insieme piuttosto chiaro: nel senso che racchiude il «no» preventivo all’alleato-coltello Salvini. Insomma, ognuno andrà avanti per la sua strada. Ma se passa la riforma elettorale discussa col Pd, converrà a entrambi un simulacro di unità.

Il calcolo Dietro la tregua tra Forza Italia e il Carroccio si intravede il calcolo di usare al meglio la futura (possibile) legge elettorale

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