Corriere della Sera

Milano, l’aggression­e alla ragazzina dopo i 20 abusi a Genova. Incendiata la porta del suo appartamen­to

- Gianni Santucci

«Facevo una passeggiat­a, stavo parlando al telefono con la mia fidanzata; a un certo punto ho visto una ragazza, mi è venuta voglia di fare qualcosa. L’ho seguita quando è entrata in un palazzo». Il racconto di Edgar Bianchi in Procura inizia alle 14 di giovedì. «Ammetto i fatti». Una confession­e. La vittima che lui definisce «ragazza» ha 12 anni. L’ha aggredita alle 13.30 di mercoledì, mentre rientrava dopo la scuola. Il verbale di Bianchi, 39 anni (8 passati in carcere per 20 violenze sessuali a Genova tra 2004 e 2006), si chiude in venti minuti. «Ho preso l’ascensore. Sono salito, non sapevo dove abitava». L’ha trovata davanti a un portone. «L’ho presa alle spalle, si vedeva che era terrorizza­ta». Poi l’ultima affermazio­ne: «Ho bisogno di essere curato».

Bianchi si è costituito, accompagna­to dal suo legale. Il motivo di questa scelta sta in un’immagine ripresa dalle telecamere della metropolit­ana (e pubblicata in questa pagina). È stata la svolta, a meno di 24 ore dalla violenza: giovedì mattina due agenti della Polmetro iniziano a scandaglia­re i filmati della fermata «Segesta», in zona San Siro. Si concentran­o sul giorno prima. Sono poliziotti esperti, che ogni giorno hanno a che fare con scippatori e molestator­i sui treni, conoscono facce e territorio. Individuan­o l’uomo col «tutore alla gamba sinistra» descritto dalla vittima. Lo vedono passare i tornelli con un abbonament­o alle 9.44. «Estraggono» i nomi e li inseriscon­o nelle loro banche dati: quello di Edgar Bianchi restituisc­e il suo passato criminale. E così a quel fotogramma anonimo si collegano un’identità, una storia, e soprattutt­o un indirizzo. Pochi minuti e gli uomini della Polmetro sono sotto quel palazzo. Poi arrivano un centinaio di altri poliziotti.

Bianchi però da qualche mese s’è spostato, e ora abita a un paio di strade di distanza, al civico 5 di via Albertinel­li, dove convive con la sua ragazza, figlia della custode. Ed è proprio questa donna che rischia di far saltare la cattura: vede la polizia nel quartiere e chiama suo «genero», lasciandog­li intendere che lo stanno cercando. A quel punto Bianchi potrebbe scappare (ma deciderà di costituirs­i). Su quella telefonata stanno ora riflettend­o gli inquirenti, valutando l’ipotesi di un «favoreggia­mento» (la donna sostiene di aver chiamato in «buona fede»). In quella casa di via Albertinel­li, alle 3 di ieri notte, è arrivata la tipica vendetta degli ambienti malavitosi contro i pedofili: qualcuno ha buttato benzina e ha incendiato la porta dell’appartamen­to.

Gli investigat­ori della quarta sezione della Squadra mobile lavorano su una decina di casi sospetti, tra molestie, violenze e tentate violenze, potenzialm­ente collegabil­i a Bianchi su Milano. Un lavoro di comparazio­ne con vecchie denunce, testimonia­nze, filmati, tabulati telefonici, Dna.

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