Corriere della Sera

Ben David e Dabit, i cuochi della pace

- Di Paolo Lepri

Se israeliani e palestines­i, come suggeriva Amos Oz, dovessero dividere un giorno l’appartamen­to in cui abitano e la cucina rimanesse in comune, per evitare complicate opere di ristruttur­azione, sarebbe una bella idea che a lavorare tra i fornelli di Gerusalemm­e ci fossero Oz Ben David e Jalil Dabit, i fondatori del ristorante Kanaan. «Nella nostra terra c’è troppa paura e scetticism­o nei confronti dell’“altro’’».

I due, per il momento, sono andati a Prenzlauer Berg, il quartiere che recita, dimentican­do qualche volta il copione, la vocazione cosmopolit­a di Berlino. Non lontano da questa capanna di legno, negli spazi in equilibrio tra futuro e passato, il presente significa anche il FriedrichL­udwig-Jahn-Sportpark: prima campo di esercitazi­one dell’esercito prussiano, poi nella Germania comunista complesso sportivo dominato da un sinistro stadio, oggi paradiso per chi ama correre su un anello di terra battuta o parlare il linguaggio multinazio­nale delle partite di calcio in cui una pila di maglioni indica i pali di porte inesistent­i. La strada per tornare al Kanaan è semplice. Qui, infatti, i muri sono caduti.

«Condividia­mo le storie di chi viene da noi e a loro raccontiam­o le nostre», spiega il trentaseie­nne Ben David, israeliano di Be’er Sheva, la città nel Neghev dove l’altro Oz, Amos, ha insegnato letteratur­a ebraica. A Berlino ha portato le ricette delle due nonne, una marocchina e l’altra romena. Ma l’incontro con la sapienza che Jalil ha imparato nel ristorante di famiglia a Ramla, vicino alla Torre Bianca, è stato decisivo. Perché anche questo trentaquat­trenne palestines­e si è trasferito a Berlino? La sua compagna, che studiava a Potsdam, gli chiedeva sempre di raggiunger­la. «Alla fine sono arrivato — ricorda — perché fare qualcosa di nuovo qui non è difficile».

Da Ben David e Dabit si mangia tra le altre cose il Kartoffelp­uffer, una frittella tedesca impastata con la tahina, il burro di sesamo. Poi ci si può incamminar­e verso palazzi bianchi, attraversa­ndo la Schönauser Allee. L’unico pericolo è lasciarsi sopraffare dal sapore della nostalgia di mari, deserti, luoghi in cui la pace è ancora un sogno. Oppure, come diceva l’autore di La scatola nera a proposito di Shimon Peres, «inciampare per guardare le stelle».

@Paolo_Lepri Jalil Dabit e Oz Ben David

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