Mamme in passerella, la scelta di Balmain: non vestire solo 20enni
La collezione più matura di Olivier Rousteing I bozzoli di Rick Owens e il «manifesto»: torniamo a uscire, senza paura
Natalia Vodianova, Natasha Poly e Bianca Balti creature della notte, di un secret party all’Opera di Paris di Balmain by Olivier Rousteing. E che notte! Qualcosa di diverso da quello che si è visto sino ad ora su queste passerelle. Eccentricità certo, fra profusione di cristalli e catene e pelle e borchie e piume e trasparenze, ma non solo per ragazze belle e impossibili. Dai corti abiti dal sapore medievale di maglia di metallo ai pullover di incredibili match tricot, dai completi maschili brillanti alle tuniche di rete e frange, dai pantaloni in vernice alle semplici canotte ricamate, dai monospalla di pizzo agli stivali neri: ogni pezzo è ben studiato perché possa conquistare qualsiasi donna.
Rousteing per primo capisce di aver fatto la sua collezione «più matura». Lui che ha messo la sua vita su Instagram, dove il tempo e ricordi durano il lampo di uno switch, rende omaggio a un sogno di bambino (aveva dieci anni quando ci andò con i suoi genitori) che era quello di tornare all’Operà da protagonista. Con uno show, ma anche con i costumi dei prossimi spettacoli in cartellone.
Tutti in disco da Paco Rabanne dove Julien Dossena per la prima volta esplora, anche lui, il mondo della notte. Alla sua maniera, con quei cenni allo sport e allo street che ne identificano lo stile. Gioco facile recuperare la maglia metallo che Rabanne «inventò» negli anni Settanta. Ecco i mini abiti e le tuniche, monospalla o scivolati dietro, le tute seconda pelle, neri o argento o con una stampa. La nuova versione è con le frange per lunghe gonne con i crop top, o i pantaloni con semplici t-shirt ginniche.
«Vestiamoci up e usciamo — dice lo stilista —. Prima degli attacchi terroristici qui a Parigi andavamo sempre fuori. Ora non più. Ma non va bene. Dobbiamo riprendere e resistere». E il messaggio è un po’ il manifesto di tutti in questa settimana.
«Creazione come atto di resistenza» tuona Rick Owens che proclama di aver disegnato vestiti come rifiuto alle minacce e drappeggia intorno ai corpi abiti-protezione, tuniche all’inizio, dalle grandi proporzioni e poi creazioni bozzoli. Guillaume Henry sceglie per Nina Ricci una femme che sia sì battagliera ma come una legionaria o una eroina romantica alla Don Chisciotte in denim e maglie con le ruches dai colori sbiaditi dal sole, pantaloni da cavallerizza e
abiti di pelle, sahariane strutturate e ciclista color caki. E poi c’è la Parigi delle «parisienne». Come le ragazze di Chloé secondo la visione della nuova stilista Natacha Ramsay-Levi che fa un excursus curioso negli archivi e accenna ai lavori di chi l’ha preceduta, omaggia la fondatrice Gaby Aghion e interpreta secondo il suo stile filtrato dagli anni con Ghesquière prima da Balenciaga e poi da Louis Vuitton. Ecco i vestiti dipinti con occhi e mani di Karl Lagerfeld, i cavalli di Stella McCartney e Phoebi Philo e i fiori e la leggerezza di Clare Waight Keller accostati ai tagli sportivi dell’esperienza. Pas mal.
Lunghe vesti in jersey o in patchwork, spesso movimentate da frange e poi pantaloni ampi e abiti stretti in vita da cinte, trench fluidi, gonne asimmetriche costruite a pannelli, top e t-shirt con balze e ruche: è una nomade la nuova donna Loewe by Jonathan Anderson a tinte tenui. I suoi capelli e i colori e certe tuniche ricordano l’Amante di Margherita Duras nell’omonimo film.
I giapponesi infine. Novanta minuti novanta fra preludio (una rappresentazione della cerimonia
Kagura, danza tipica di Hiroshima) e lo show: performance che ha messo a dura prova gli invitati. La moda, invece, secondo il progetto speciale «Memento2» con una rivisitazione di pezzi d’archivio: obi e maniche kimono che contaminano denim e felpe. Stampe di bambù e tigri volanti. Da Issey Miyake un viaggio in Islanda contamina gli orientalismi di Miyamae: i paesaggi sono stampati sui plissé cotti e vaporizzati per tuniche e completi dai tagli sportivi e pratici, ma con quella delicatezza che è diventata un simbolo.