«Nella nostra fucina arrivano le archistar» E il vetro si rinnova
Il rilancio di Venini e i contributi di pregio Così si (ri)parte con i vasi di Tadao Ando
Un soffio potente e il fuoco. L’aria di fornace avvolge chi osserva i maestri vetrai dar corpo a preziosi manufatti in vetro. Murano, caput mundi dell’arte vetraia.
Sicuramente fatto noto, meno lo è una sua anima esclusiva. «La passione per l’arte vetraria scorre nelle vene di coloro che nascono a Murano, fa parte del dna di chi ha origini in questo frammento di Laguna. Ha infiammato anche me da quando mi ci sono trasferito — afferma con entusiasmo Carlo Longagnani, amministratore delegato di Venini, in carica dall’inizio dell’anno —. Preservare e proteggere con estrema passione queste tradizioni è ciò su cui siamo focalizzati nel futuro». Da quasi tre decenni Longagnani è in forze a Damiani, il gruppo produttore di gioielleria di alta gamma che ha acquisito, nel 2016, questa griffe di «alta vetreria».
Ora il manager romano sta curando il piano di rilancio di quest’eccellenza artigianale. «Il valore del nostro heritage è ciò che rende forte il nostro Paese. Venini nel 2021 festeggia il secolo. Vogliamo arrivare a quel momento con una rinata e rinnovata identità», spiega il manager.
Su tradizione, capacità e diversità si fonda la storia del marchio, creato dall’avvocato milanese Paolo Venini e dall’antiquario veneziano Cappellin, da sempre focalizzato a dar vita a manufatti artigianali illustri: «in una tradizionale fornace muranese, si producono vetri fino a 10 colori differenti. Venini è in grado, con oltre 15 forni, di realizzare con una continua sperimentazione fino a 130 sfumature di colore».
Imprescindibili da altrettanto illustri collaborazioni con artisti, architetti, scultori e designer: da Gio Ponti e Fulvio Bianconi (l’ideatore del celeberrimo vaso Fazzoletto) a Mendini e Fuksas; ultimo in ordine cronologico è Emmanuel Babled con il vaso Pyros, presentato a settembre alla Venice Glass Week. Non solo. «Vogliamo riprendere la tradizione di collaborazioni esclusive. Inizieremo con una nuova creazione di un archistar», anticipa al Corriere Longagnani. Si tratta di Cosmo trittico di vasi firmato da Tadao Ando, gli Ando Cosmos dalle linee geometriche e realizzati a soffio, una edizione limitatissima presentata il 6 ottobre prossimo a Tokyo al Ginza Six, il più grande luxury mall della metropoli nipponica.
«Dopo aver riaperto il negozio storico di Milano in via Montenapoleone è stata la volta degli spazi nel Ginza Six». Quella di Ando non è la prima volta con Venini. «La nostra idea è rinnovare legami già stretti in passato con grandi artisti e rinnovarli. Dar vita, ma con dinamiche differenti rispetto alla moda, a capsule preziose e limitatissime da collezionisti». Allora un vaso Venini è solo un pezzo da collezione o può «arredare»? «Anticipare forme e sperimentare è sempre stata la nostra carta vincente così un nostro caso può avere entrambe le anime. Influenzati anche da una precisa “geografia del vaso”: Occidente e Oriente si contrappongono e l’Europa fa da ago della bilancia. Vasi di grandezza media nel Vecchio Continente; in Asia, specie in Giappone, creazioni più minimali, opere più importanti per i collezionisti americani».
L’heritage di Venini affonda le radici in intuizioni uniche. Come quelle di Vittorio Zecchin, primo direttore artistico (1921-1925) Venini. Un omaggio è la mostra aperta a Venezia: «I vetri trasparenti per Cappellin e Venini» (fino al 7 gennaio 2018; isola di San Giorgio); legata al progetto di Fondazione Cini e Pentagram Stiftung dal nome Le stanze di vetro.
Evocano la trasparenza di quella brocca sospesa a mezz’aria da Tiziano nel «Baccanale» del Prado, sfumature e rifrangenze dell’anima della Laguna.