La resilienza sa di frutta È la forza di Minervino
Il paese delle Murge e i suoi giovani imprenditori che si reinventano contadini (come i loro nonni)
Ipeperoncini tondi diavolicchi dardeggiano nelle cassette di legno. L’uva bianca è stata appena lucidata con lo strofinaccio per essere esposta nel portabagagli dell’automobile, di fronte al belvedere soprannominato il Balcone delle Puglie per l’affaccio sul Monte Vulture e sulla sconfinata campagna pugliese, ai lembi della Lucania, punteggiata da migliaia di ulivi. Adesso è cominciata anche la stagione dei funghi cardoncelli, mentre tra poche settimane saranno le castagne e le cime di rapa a fare capolino sui banchi di quell’infinito e, soprattutto, «giovane» mercato di verdura e frutta che è Minervino Murge.
In questo borgo che, nel panorama glabro delle Murge, spunta come un faro — una di queste lanterne affusolate in muratura c’è davvero e, in epoca fascista, emetteva un fascio luminoso visibile sino a una distanza di 80 km, grazie a due milioni di candeline elettriche — tutti i giovani hanno scelto di coltivare con le mani la propria forma di resilienza. Depositari di una lunga tradizione di lotta e rivendicazione delle istanze contadine che, dopo i sanguinosi moti rivoluzionari di fine ‘800 contro i proprietari terrieri senza scrupoli, portò addirittura, nel giugno del ’45, a emettere una dichiarazione di guerra all’Italia, talmente ardita da richiedere l’intervento del Battaglione San Marco per sedare gli animi più focosi, i ventenni di Minervino si sono rimboccati le maniche. Hanno ripreso in mano i poderi dei nonni e trasformato questo borgo, affacciato sul «tauriforme» Ofanto oraziano, fondato dai romani, nel paese più bio e green del Sud Italia.
E così, lasciatosi alle spalle il Lago Locone con la sua diga in terra battuta, alta oltre 60 metri, da 100 milioni di metri cubi di acqua, e la grotta di San Michele dove, secondo la leggenda, i legionari romani reduci dalla battaglia di Canne amoreggiavano con le pastorelle del posto, appena inforcato Corso Matteotti, la tavolozza di colori, il paniere dei profumi, la freschezza e genuinità dei sapori colpiscono i sensi.
«Assaggi queste buonissime olive nolche dalla polpa chiara e il gusto dolciastro — esordisce il 21enne Angelo Magirella —, le ho raccolte insieme al nonno, lui mi raccontava sempre di Antonio Gramsci che aveva ascoltato mentre urlava proprio qui il suo grido di riscossa del Mezzogiorno. E io, come tanti miei coetanei, ho scelto di faticare per far maturare questi terreni così floridi destinati altrimenti a essere abbandonati».
L’esempio di questo ragazzo dalla braccia bitorzolute è stato seguito anche da Marianna Santomaso, anche se questa 25enne, pur sempre sotto gli occhi del fidanzato Michele, sfoggia un look più sbarazzino che ne fa la verduraia dalle scarpe rosse più determinata di tutto Minervino: «Tanti ragazzi dopo avere conseguito un titolo di studio sono emigrati ma poi, quando vengono qui, hanno i volti pesti di nostalgia, perciò chi ha un appezzamento di terra — spiega, mentre solleva una cassetta colma di verze — preferisce rinunciare a stipendi più alti, per vivere una vita più semplice, fatta di cibi sani, rapporti profondi».
L’isolamento culturale, del resto, non lo è lo stesso di tanti anni fa: «Quando venni a insegnare al liceo — racconta l’indimenticato preside, Luciano Gigante — la fame di sapere era pantagruelica». Il tutto, anche grazie ai libri che Tanino e Giuseppe Insabato espongono nelle vetrine della cartoleria, insieme a tenere gommine del dolce Remì. E anche la Scesciola, l’abitato più elevato e antico, dove le case sono tutte collegate da rampe esterne, dette vignali, è
Nuove generazioni Depositari di una lunga tradizione di campagne e di lotte, oggi coltivano poderi e vivono «bio»