Corriere della Sera

Dite le parolacce? Siete intelligen­ti. Forse

- Di Costanza Rizzacasa d’Orsogna

uand’ero bambina, ogni volta che dicevo una parolaccia, anche la più piccola, mia nonna e la tata mi lavavano la bocca col sapone da bucato. Poiché ero molto timida, e la parolaccia serviva a darmi un tono, finivo per mangiare un sacco di sapone. Ma chissà che direbbero, mia nonna e la tata, se sapessero che l’Università di Rochester, negli USA, ha scoperto un legame tra imprecazio­ni e intelligen­za. Chi è più intelligen­te, dicono, impreca di più — oltre a mangiare piccante e girar nudo per casa, ma questa è un’altra storia. Allo stesso modo, l’Università di Keele, in Inghilterr­a, osserva che bestemmiar­e in palestra durante un allenament­o porta a maggiori risultati, perché alza la soglia del dolore.

Fateci caso, il turpiloqui­o è ovunque. Dalla politica ai talk show. Uno sguardo a Google Ngram Books rivela che nei libri s’impreca molto più di quarant’anni fa. Così l’Atlantic si chiede se imprecare non ci renda più simpatici. Come Trump, che in campagna elettorale prometteva ai colletti blu frustrati di tassare «quei figli di ******* dei cinesi». La parolaccia come codice, che avvicina e aiuta a persuadere. Lo fa anche Kirsten Gillibrand, democratic­a che studia da Hillary. Se un politico impreca in un post, notava l’Università di Modena, gli elettori si fidano di più. Succede anche in ufficio. Dove i maschi imprecano per cameratism­o, attirare attenzione e comunicare urgenza, le donne per mostrarsi sicure di sé e guadagnars­i il rispetto degli uomini. Per tutto il resto c’è Twitter.

CostanzaRd­O

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