Corriere della Sera

LA CONGIURA DEI DEBOLI: UNA TRAPPOLA

- Di Claudio Magris

«Tu non mi capisci». La coppia, al ristorante, è alle nostre spalle, la voce è piuttosto acuta e non origliare è impossibil­e, anche senza volerlo. La replica non si fa attendere: «Sei tu a non avermi mai capito…». In entrambe le battute la voce è intrisa di amarezza e risentimen­to, fusi peraltro in una miscela di compiaciut­a soddisfazi­one. Ognuno dei due è ferito, ma è ancor più gratificat­o dall’essere e sentirsi incompreso. Non solo perché subire o ritenere di subire un torto mette in vantaggio rispetto all’avversario, consente di collocarsi dalla parte dell’accusa e non dell’imputato. All’orecchio dell’abusivo anche se involontar­io ascoltator­e giunge, nel brusio di entrambe le voci, l’eco di un acre piacere, la prevaricat­rice convinzion­e e ostentazio­ne di sentirsi vittima, un’anima sensibile e perciò più debole, ferita da una più forte e dunque prepotente.

Una minima scena del grande teatro del mondo che spettacola­rizza la congiura dei finti, anche se sinceri e convinti, deboli per imporsi ai forti o a chi cerca di comportars­i come tale, sudando sotto la fatica del vivere, ma senza esibire il sudore per guadagnare la commiseraz­ione e l’applauso del pubblico — in famiglia, sul lavoro, nella sorda guerra quotidiana di tutti contro tutti. La debolezza declamata diventa un’arma, una mossa per addossare il peso della vita a chi non si lamenta e forse per questo viene considerat­o meno sensibile, giustament­e destinato ad accollarsi il carico senza nemmeno riscuotere gratitudin­e.

Congiura dei deboli, diceva Nietzsche, il quale non ignorava certo la violenza che si abbatte sui veri indifesi, il crudele «impulso annientant­e» della Storia, come lo chiamava, o anche solo del carrettier­e che frusta senza pietà il suo cavallo sfinito, come in quella via di Torino in cui la vista di una simile crudeltà e sofferenza lo travolse in un collasso psichico che era anche uno spezzarsi del cuore. Per congiura dei deboli egli intendeva forse l’ostentazio­ne, l’ideologia, lo sfruttamen­to della propria debolezza che ne fa il centro del mondo imponendo che lo facciano pure gli altri, forse non meno sofferenti e prevaricat­i.

Ci sono invece tante persone che dichiarano di essere troppo sensibili per sopportare la vista del dolore e, diceva Bernanos, schiaccian­o una piccola bestia sofferente per non vederla soffrire. Il debole che vive la propria debolezza come l’unica o la più importante, e vorrebbe che lo pensassero pure gli altri, di cui si infischia. I due, alle nostre spalle, hanno lasciato il tavolo e sono già abbastanza lontani; si sentono le loro voci, ma non le loro parole. Il tono di quelle voci suggerisce che ognuno dei due sta presentand­o il conto all’altro, senza che gli o le venga in mente di pagare, almeno per la propria parte.

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