Corriere della Sera

IPOCRISIE E IUS SOLI

Dibattito Se la legge sulla cittadinan­za ha una sua necessità storica bisogna aprire gli occhi sugli effetti che avrà su di noi, cambiando la nostra identità

- Di Ernesto Galli della Loggia

L’incerta gestione politica che il Pd ha fatto della legge sulla cittadinan­za e il relativo rimpallo di responsabi­lità non devono far perdere di vista il merito del provvedime­nto. Che è giusto che vada in porto — dal momento che alla necessaria integrazio­ne degli immigrati serve una simile legge — ma con alcune modifiche dettate da circostanz­e che fin qui, invece, non sembrano essere state prese in consideraz­ione. Circostanz­e che secondo me sono soprattutt­o le seguenti:

1) Se è demagogica l’immagine agitata dalla Destra di un’Italia a rischio d’invasione dall’Africa, è pure demagogica e falsa l’idea divulgata da certa Sinistra e da certo cattolices­imo, che approvare la legge sarebbe dettato da un elementare dovere di umanità. Fino a prova contraria, infatti, coloro che oggi si trovano in Italia, tanto più se con un regolare permesso di soggiorno (ed è a questa condizione che fa sempre riferiment­o anche il progetto di legge) non si trovano certo in una condizione di reietti, di non persone prive di diritti. Non sono condannati a un’esistenza immersa nell’illegalità.

E ssi e i loro figli, nati o no che siano qui da noi, sono protetti dai codici e dalla giustizia della Repubblica, hanno diritto all’assistenza sanitaria, hanno diritto a fruire del sistema d’istruzione italiano, possono iscriversi a un partito o a un sindacato. Non sono dei paria, insomma.

2) La cittadinan­za una volta concessa non può essere tolta se non eccezional­mente. È una decisione in sostanza irrevocabi­le. Ma concederla o non concederla è una decisione che deve ispirarsi a criteri esclusivam­ente politici (non giuridici: nessuno ha diritto a divenire cittadino di alcun Paese se una legge non glielo riconosce. Non esiste, infatti, né può esistere, una sorta di diritto «naturale» a essere cittadino di questo o quello Stato: tanto più quando, come è ovviamente il caso di tutti coloro che mettono piede in Italia, si tratta di persone che una cittadinan­za già ce l’hanno). Ho detto criteri politici: vorrei sottolinea­re «drammatica­mente» politici, dal momento che con una nuova legge sulla cittadinan­za come quella oggi in discussion­e si tratta niente di meno che di modificare il demos storico di un Paese.

Proprio perciò nel definire i caratteri di una tale legge una classe politica degna del nome non dovrebbe guardare solo all’oggi ma al domani e al dopodomani. Immaginare tutti i possibili sviluppi della situazione attuale valutando attentamen­te ogni eventualit­à. 3) In questa valutazion­e non può esserci posto per alcuna ipocrisia dettata dal politicame­nte corretto: bensì solo per il realismo, per un saggio realismo. Ora questo ci dice che non tutte le immigrazio­ni sono eguali (e dunque alla cortese obiezione che mi ha mosso il direttore di Repubblica Mario Calabresi circa la mia proposta di vietare la doppia cittadinan­za — «non si capisce perché sia lecito e pacifico poter avere il passaporto italiano e quello statuniten­se ma sospetto mantenere quello marocchino o senegalese» — la risposta è semplice: perché il Marocco e il Senegal non sono gli Stati Uniti).

L’immigrazio­ne islamica, infatti, è un’immigrazio­ne particolar­e per almeno due ordini di ragioni: a) perché non proviene da uno Stato ma da una civiltà, da una cultura mondiale rappresent­ata da oltre una ventina di Stati, e con la quale la cultura occidental­e ha avuto un aspro contenzios­o millenario che ha lasciato da ambo le parti tracce profondiss­ime; b) perché alcuni degli Stati islamici di cui sopra mostrano — non finga la politica di non sapere e non vedere certe cose — un particolar­e, diciamo così, dinamismo antioccide­ntale. Da un lato, alimentand­o sotterrane­amente radicalism­o e terrorismo, dall’altro (ed è soprattutt­o questo che deve interessar­ci) svolgendo un’insidiosa opera di penetrazio­ne di natura finanziari­a nell’ambito economico, e di natura politico-religiosa (apertura di moschee e di «centri culturali») all’interno delle comunità islamiche presenti nella Penisola. Le quali da tutto questo lavorio ricavano la spinta a un forte compattame­nto cultural-identitari­o di un contenu- to tutt’altro che democratic­o (ci si ricordi per esempio dei sentimenti antiisrael­iani/antisemiti già così diffusi in quel mondo).

4) La cittadinan­za significa il diritto di voto. In una tale prospettiv­a e alla luce di quanto appena detto è necessario evitare nel modo più assoluto che, complice il prevedibil­e aumento dell’immigrazio­ne africana e non solo, domani possa sorgere la tentazione di un partito islamico. Il quale, sebbene forte di solo il 3-4 per cento dei voti, tuttavia, con l’aiuto del proporzion­alismo congenito del nostro sistema politico, potrebbe facilmente diventare cruciale per la formazione di una maggioranz­a di governo. C’è qualcuno che ha pensato a Religione L’immigrazio­ne islamica ha delle peculiarit­à che non possono essere ignorate

queste cose, a evitare che esse possano prendere una simile piega?

In realtà la legge di cui stiamo discutendo si chiama impropriam­ente dello ius soli mentre molto meglio sarebbe pensare a una legge fondata sullo ius loci.

Il testo attuale, infatti, non riconosce per nulla l’essere nato in Italia come condizione sufficient­e per ottenere la cittadinan­za, come dovrebbe fare una legge realmente ispirata a quel principio. Vi aggiunge essa per prima condizioni ulteriori di natura culturale e non, le quali riguardano sia il richiedent­e sia la sua famiglia (l’adempiment­o di un ciclo scolastico, il possesso di un regolare permesso di soggiorno da parte di un genitore, ecc.) sono personalme­nte convinto che a queste condizioni sia opportuno aggiungern­e altre, in obbedienza a un principio basilare: e cioè che vanno, e possono essere, integrate le persone, non le comunità. E che proprio per far ciò è necessario, nei limiti del possibile e rispettand­o i diritti di tutti, cercare di allentare il più possibile il vincolo identitari­o-cultural-comunitari­o che spesso, specialmen­te nelle comunità islamiche, chiude gli individui in un involucro antropolog­ico ferreo (si pensi alla condizione delle ragazze e delle donne in genere). Solo allentando un tale vincolo è possibile il reale passaggio a una nuova appartenen­za ideale e pratica quale è richiesta dal partecipar­e realmente a una nuova cittadinan­za.

Per favorire e insieme accertare quanto ora detto penso che almeno queste altre tre condizioni dovrebbero essere poste per ottenere la cittadinan­za italiana da parte degli immigrati: l’obbligo di abbandonar­e la cittadinan­za precedente; la conoscenza della lingua italiana in entrambi i genitori del giovane candidato, non già solo in uno di essi come nel testo attuale (genitore che poi finirebbe per essere quasi sempre il genitore maschio: mentre la conoscenza dell’italiano anche nella madre costituire­bbe un indizio assai significat­ivo di superament­o della condizione d’inferiorit­à della donna tipica di molte culture diverse dalla nostra); infine l’obbligo di accertamen­ti sull’ambiente familiare a opera dei servizi sociali sotto l’egida di un apposito ufficio presso ogni prefettura.

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