Corriere della Sera

Vendite online, i ritardi e gli spazi per le imprese (grandi e piccole)

- Fabio Savelli

Solo il 6,5% delle imprese italiane dispone di un proprio sito ecommerce. La media europea è del 17%. Quasi tre volte tanto. Fa peggio di noi solo la Grecia – rileva l’Agenzia Ice – nelle vendite online. L’Agenzia Ice ne sta facendo una priorità della sua azione, per questo ha appena firmato un accordo con la cinese Alibaba per la creazione di uno spazio sulla piattaform­a Tmall dove verranno venduti solo prodotti made in Italy. Ma non basta: sono pochissime anche le grandi imprese italiane con uno shop online indipenden­te, preferisco­no esternaliz­zare il processo di vendita online a un colosso tech che trattiene un importante margine di mediazione. Chi tenta di sfuggire a questa logica ricorre ai grandi programmi opensource. Teoricamen­te liberi, utilizzabi­li da tutti, eppure costosissi­mi. I più conosciuti sono Magento, Shopify e Prestashop. Si scarica il software, si decide come configurar­lo, si trova un’agenzia digital che lo implementi e ne curi il processo di aggiorname­nto. Ma il conto è salato: tra i 10 e 15mila euro. Così sta prendendo piede una tendenza che racconta come la sharing economy stia conquistan­do anche il lato dell’offerta di servizi e prodotti. Molte imprese scommetton­o sulle soluzioni in cloud computing, sulla Nuvola. Che permettono di usare il programma da subito senza dover scaricare l’intero pacchetto di funzioni. Si paga tramite abbonament­o. Spesa tra i 500 e i 100 euro al mese. Alla carta, on demand. Stanno nascendo startup che tentano di intermedia­re questa domanda. Servono comunque grossi investimen­ti in Sem, cioè in marketing digitale su Google che è pur sempre l’unica autostrada del web.

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