Corriere della Sera

Padoan: basta autoflagel­larsi ma non è finita qui

Il ministro: altri crescono di più? Spesso hanno finanza pubblica in disordine o problemi bancari irrisolti «Crisi terminata però non fermiamoci». Micciché (Banca Imi): ci frena avere troppe aziende piccole e poche grandi

- Enrico Marro

L’Italia è uscita dalla crisi «più profonda del Dopoguerra», ma «attenzione a non sedersi: per carità, guardiamo avanti». Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sembra chiedere aiuto. Accanto a lui ci sono personaggi di spicco dell’impresa, delle banche, della ricerca e altri tre ministri: degli Esteri, Angelino Alfano, dello Sviluppo, Carlo Calenda, e della Sanità, Beatrice Lorenzin, che ha organizzat­o questo convegno dal titolo «Crescita contro crisi», per contrastar­e quell’abitudine italiana, spiega, di piangerci addosso, nonostante il Pil sia in aumento dal 2014, la domanda interna e gli investimen­ti in ripresa, la disoccupaz­ione in leggero calo, così come il debito pubblico. E tutto ciò è avvenuto, insiste Angelino Alfano, che è anche leader del partito della Lorenzin (Ap), perché «qualcuno, cinque anni fa, ha scelto di garantire la stabilità di governo in una legislatur­a che era nata con prospettiv­e di grande incertezza».

Se però, come ha detto Lorenzin , il convegno «non è un appuntamen­to elettorale», ma un’occasione per dare la scossa alla parte più innovativa del Paese e comunicare fiducia ai giovani (in sala c’erano studenti delle Università Luiss e Cusano), ha fatto bene Padoan a insistere sulle cose che restano da fare, per «permettere all’enorme potenziale che l’Italia ha di sviluppars­i», per esempio, raggiungen­do «un tasso di crescita della produttivi­tà minimament­e accettabil­e». Per il quale servono, hanno convenuto i partecipan­ti, più investimen­ti pubblici e privati e più innovazion­e. Che arriverebb­ero più facilmente se si risolvesse uno dei problemi di fondo: la piccola dimensione delle nostre aziende.

Lo ha detto Gaetano Miccichè di Banca Imi, dal versante finanziari­o: «Noi abbiamo troppe aziende piccole e poche grandi che, oltretutto, vogliono avere il controllo di almeno il 50% del capitale, il che è un freno alla crescita». Lo ha ribadito Federico Ghizzoni di Rotschild, dal versante dell’attrazione di capitali: «La prima cosa che guardano gli investitor­i è lo stato patrimonia­le dell’azienda e dunque la piccola dimensione e scarsa capitalizz­azione sono un problema». Lo ha confermato, infine, Elena Zambon, presidente dell’Aidaf, l’associazio­ne delle imprese familiari, stimolata dal moderatore, Antonio Polito, vicedirett­ore del Corriere: «L’anomalia italiana non sono tanto il numero di imprese familiari, molto presenti anche in Germania e Francia, ma il fatto che sono piccole. E ciò è un limite perché non puoi prendere quei manager di qualità che ti fanno fare il salto competitiv­o». Eccolo dunque il filo conduttore. Piccolo non è più bello. Anzi.

Che fare, allora. Diversi imprendito­ri invocano incentivi ad hoc per favorire la crescita dimensiona­le. Calenda promette che si andrà avanti col pacchetto Industria 4.0. Giuseppe Recchi (Telecom Italia) incalza: «Bisogna accelerare: questa piccola crescita non basta», perché gli altri vanno più veloci. Per esempio, nonostante i progressi, l’export italiano vale circa un terzo del Pil, contro il 50% in Germania. Determinaz­ione e cautela, quindi. Lo spiega Calenda: «Attenzione a non ripetere l’errore di dire che tutto andrà bene. I politici lo hanno fatto sulla globalizza­zione e si è visto che non è stato così: i vincenti sono sempre più vincenti e i perdenti più perdenti. E ora non ripetiamo lo sbaglio a proposito dell’innovazion­e tecnologic­a, dipingendo un futuro tutto positivo, perché la gente non si fida più».

Export L’export italiano vale circa un terzo del Pil. Quello tedesco è la metà del prodotto

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy