Credito cooperativo, dopo il riassetto i nodi esuberi e Bce
Al tavolo delle trattative stimati 3.500-4.000 lavoratori in eccesso. Le tensioni all’interno del sistema
Il credito cooperativo in mezzo al guado. Lasciata la sponda del vecchio status quo, fatto di una miriade di piccoli istituti, il sistema marcia verso il nuovo approdo. Con due capogruppo, in concorrenza tra loro, che opereranno a livello nazionale: Iccrea a Ccb, Cassa centrale banca. E una terza — Raiffeisen di Bolzano — che si limiterà ad agire al livello della sua stessa provincia.
Il D-Day è il prossimo primo luglio. Mancano nove mesi tondi. Il sistema è pronto? Le criticità da affrontare saranno prima di tutto due. La capacità di soddisfare i parametri imposti dal sistema di vigilanza bancaria, per cominciare. L’interlocutore per il settore non sarà più Banca d’Italia ma la vigilanza europea: il rapporto è tutto da costruire.
Poi c’è la questione della riorganizzazione del settore. Si tratterà di gestire degli esuberi che al tavolo delle trattative per il contratto sono stati stimati in 3.500-4.000. L’incontro di lunedì prossimo è saltato. «Inutile vedersi se non si intuisce il modo di sbloccare la situazione — evita giri di parole Lando Sileoni, a capo della Fabi, primo sindacato dei bancari —. Resta il fatto che il contratto va chiuso entro l’anno. Non possiamo permetterci di rinunciare all’integrazione del fondo esuberi operata dal governo con la legge di Bilancio 2017».
Il nodo della trattativa è il seguente: chi si farà carico dei prepensionamenti per i bancari in uscita? Gli istituti o, in quota parte, anche i dipendenti del settore? La sintesi è tutta da trovare.
A contorno, c’è il fatto che la scelta di campo obbligata tra Iccrea e Ccb ha portato tensioni all’interno del sistema. Per esempio: non è ancora chiaro che cosa farà ChiantiBanca. Inizialmente
l’istituto si era schierato con Ccb ma poi 9 soci hanno impugnato la delibera e chiesto di annullarla.
In Ccb fanno spallucce. Come dire: qualunque cosa Chieti Banca decida, il progetto non cambia di un millimetro. Martedì scorso Ccb ha riunito a Milano le 104 banche che hanno sposato il suo progetto per ascoltare il punto di vista dei rappresentanti della Banca d’Italia. I vertici di Ccb rivendicano la solidità patrimoniale del nuovo gruppo ma sanno che sulla quota di sofferenze lorde rapportate al totale degli impieghi bisognerà cercare di spiegare le proprie ragioni in Via Nazionale ma soprattutto in Bce. La quota di non performing loans sul totale degli impieghi del sistema bcc è del 19,9% contro un 17,7% dell’industria bancaria in generale (dati aggiornati a metà 2017). «A casa nostra il parametro si attesta intorno al 19% — diceva nei giorni scorsi il presidente di Ccb Trento Giorgio Fracalossi —. Le autorità di vigilanza si aspettano una riduzione. Con il nostro patrimonio questo non comporta un problema. Chiediamo però tempo per affrontare al meglio la cessione delle sofferenze».
Iccrea non ha ancora dato indicazioni rispetto al npl ratio del futuro gruppo (lo farà intorno alla metà del mese). Ma l’obiettivo sarebbe lo stesso: evitare di cedere in tutta fretta e sottocosto gli npl perché con più tempo a disposizione si potrebbe portare a termine il risanamento in maniera meno traumatica.
Tutto questo processo viene osservato a un passo di distanza da Federcasse, l’associazione di bcc e casse rurali. «È bene che i percorsi dei due gruppi avanzino con il ritmo necessario — si augura il presidente Augusto Dell’Erba —. Federcasse riformulerà in parte la propria missione. A presidio della differenza. E dell’integrazione del sistema dei valori cooperativi in quello delle capogruppo».