IL CLASSICO FA «CLIC»
ANCHE IN ITALIA LA FOTOGRAFIA SI FA COLLEZIONISMO DI PREGIO E GLI USA CI INVIDIANO GLI ARTISTI
Elton John acquistò la prima fotografia il giorno in cui decise di disintossicarsi dall’alcol. Guardandola, riusciva a liberare l’immaginazione senza ricorrere alla bottiglia. Deve aver combattuto molto con se stesso, sir Elton, se oggi la sua collezione è tra le più importanti al mondo, con oltre 8 mila scatti di nomi come Man Ray, Edward Weston, Irving Penn, Tina Modotti o Dorothea Lande, ed è stata ospitata alla Tate Modern di Londra.
Una foto di Madonna nuda si vende a 30 mila dollari, ma la signora Ciccone ne ha acquistata una (vestita) pagandola poco meno di un milione. Questa forma di notorietà ha indubbiamente contribuito, negli ultimi anni, a quintuplicare il giro d’affari della fotografia, anche se tutti i grandi collezionisti giurano che l’aspetto speculativo (almeno per ora) non è la bussola che li guida: è ancora l’emozione a indurli all’acquisto.
L’Italia, terra d’arte antica, è partita in ritardo: la manifestazione internazionale di Milano (Mia Photo Fair) è nata solo nel 2011, per iniziativa di Fabio e Lorenza Castelli, che ora, ritenendo i tempi maturi, hanno deciso di portare la fotografia d’arte al vastissimo pubblico di Mercanteinfiera a Parma. Fabio Castelli cominciò quarant’anni fa ad acquistare foto storiche per passione, «poi compresi che la fotografia non era un semplice documento: chi stava dietro la macchina interpretava la realtà; allora quella era arte, non riproduzione». È stata un’intuizione simile ad ampliare la cerchia dei collezionisti negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna e ora in Italia; la fotografia è arte, anche se i grandi fotografi rifiutano di essere considerati artisti.
Volenti o nolenti, sono comunque entrati a far parte di un mercato che si va sofisticando e i prezzi — oltre alla qualità dell’autore — sono influenzati dal formato, dal numero di copie tirate, dal fatto che le foto siano state stampate al momento dello scatto o successivamente, dall’integrità e da altri fattori tecnici.
L’Italia ha un notevole gap da colmare, «perché fino agli anni 80, la fotografia non aveva il riconoscimento istituzionale, vale dire l’interesse dei musei o corsi universitari», spiega Walter Guadagnini, storico della fotografia e direttore di Camera, il centro italiano per la fotografia di Torino: «Il collezionismo è una conseguenza di ciò che vediamo valorizzato. L’Italia resta così una prateria da scoprire, ha potenzialità enormi, pensiamo ai paparazzi, ad esempio, che cominciano ad essere considerati solo adesso».
E prendiamo anche nomi già affermati, come Mimmo Jodice, Gabriele Basilico, Luigi Ghirri, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Mario Giacomelli: a detta di tutti sono sottovalutati, perché le gallerie americane li hanno appena scoperti. Curioso è che a New York, da anni, si vendano gli scatti di sconosciuti fotoamatori italiani degli anni 50 e 60 e anche a discreti prezzi. Lo si deve all’intuito del gallerista Keith De Lellis: venticinque anni fa scoprì la miniera italiana e acquistò quintali di immagini per pochissime lire andando a scovare gli indirizzi dei fotografi negli elenchi dei circoli amatoriali. Se ne accorse pochi anni dopo Guido Bertero, cacciatore di neorealismo italiano tra il 1940 e il 1965, che ad ogni passo incrociava le tracce della pesca a strascico di De Lellis.
A metà degli anni 90 cominciava a formarsi anche l’importante raccolta di Anna Rosa e Giovanni Cotroneo, oggi esposta nei principali musei europei. Il loro è stato un percorso esemplare: «Abbiamo cominciato a collezionare fotografia dopo aver collezionato opere del Seicento. L’illuminazione ci è venuta davanti a una foto di Mimmo Jodice a Castel Sant’Elmo a Napoli, dove era esposto un nostro quadro. Lì ci siamo accorti che la fotografia è l’espressione artistica più vicina all’arte classica».