Il sogno di Vettel si spegne assieme al motore Ferrari
Seb via radio: «No power», in Malesia partirà ultimo. Hamilton, pole n° 70
DAL NOSTRO INVIATO
Vedere la F1 dalla coda della griglia dev’essere qualcosa di terribilmente frustrante, soprattutto quando hai una macchina velocissima. Ma va così, di questi tempi, a Sebastian Vettel, alle prese, a scelta, con la nuvola di Fantozzi o con la malasorte di Paperino: prima un deficit elettrico e poi un guasto nel collegamento tra motore e turbo, una volta portato a termine il miracolo di sostituire in due ore il propulsore a sei cilindri.
La defaillance tecnica: il temuto uomo nero ha bussato alla porta del Cavallino. E lo ha fatto a Sepang, pista che stava diventando amica. Il luogo dove osare, mentre Vettel in quello che sarà l’ultimo Gp della Malesia è chiamato a inseguire. E a tifare per Kimi Raikkonen, là davanti. Eh sì, c’era un extra da saldare nel conto salatissimo pagato a Singapore (il crash in partenza: ricordate?) e l’oste severo l’ha presentato a Sepang tra i minuti finali delle terze prove libere e quelli iniziali della qualifica. Prima di tutto, però il risultato: la Rossa in prima fila è quella di Iceman e se Lewis Hamilton, risorto grazie all’utilizzo del vecchio pacchetto aerodinamico, festeggia — in verità, bontà sua, con parole gentili per il rivale — la settantesima pole (è la nona stagionale e, come Michael Schumacher, la quinta in Malesia), Seb si ritrova dietro a tutti. Ultimo, ma fiducioso: «In gara tutto può accadere». Il volto è sorridente, la mente è aperta: «Fa parte del nostro sport: nessun pronostico, ma farò il possibile». Maurizio Arrivabene completa: «Se la sfortuna esistesse, con noi si starebbe impegnando molto».
Era un sabato apparentemente tranquillo e di superiorità, nonostante Hamilton abbia girato come una braciola le prestazioni fin qui scarse della sua W08 Hybrid (cosa non riuscita a Bottas con le nuove soluzioni «aero») e a dispetto di una risalita delle Red Bull dell’ex adolescente Verstappen (20 anni ieri) e di «canguro» Ricciardo. La prima botta al minuto 58 del P3: Seb rientra a passo di lumaca. Il «baco» nella Ferrari pare sia nell’area elettrica. Il team decide di non rischiare e cambia il motore a 6 cilindri montando l’unità numero 4 (migliorata nella potenza), il cui debutto era programmato o in Giappone o negli Usa. È una scelta senza penalità, la Rossa è ancora nel perimetro autorizzato perché il turbo non è il quinto ma uno dei quattro che la SF70H di Seb ha già impiegato. Questo è solo l’antipasto. (LaPresse) Le due stressanti ore di lavoro del team vanno al diavolo in pochi secondi nel giro d’ingresso della qualifica: «No power» dice Vettel con voce fioca. Manca il collegamento tra motore e turbo; manca la spinta, il cuore è asfittico. I secondi e i minuti scorrono veloci. A un certo punto pare che Vettel rientri, ma il controllo della telemetria spiega che il problema rimane. Ritiro e riflessioni, nel 2010 Hamilton partì 20° e arrivò 6°: «Giocheremo con la strategia» butta lì Seb.
Nasce però la discussione: è stato giusto partire con il motore che era sull’auto danneggiata a Singapore? Sì, risponde la Ferrari: il guasto del mattino è slegato dall’incidente. E poi: l’unità 4, mandata in campo in fretta e furia, dava garanzie? Risposta dei rossi: sì perché l’insieme motore-turbo-altri elementi sono giunti in blocco da Maranello, dove erano stati testati. Resta il guasto: ineludibile e da chiarire.
Eppure in questo scenario c’è un paradosso che può aiutare: Vettel avrà una macchina rifatta in più elementi e prima del via incasserà penalità a raffica. Ma saranno ininfluenti e ridurranno il pericolo che minino i prossimi Gp. Non tutto il male viene per nuocere. Forse.