Corriere della Sera

Tu rimandi «attivament­e» oppure «passivamen­te»?

Non tutti coloro che hanno la tendenza a «temporeggi­are» si assomiglia­no In questa categoria c’è chi lo fa intenziona­lmente e chi no, chi in modo attivo e chi passivo. Un comportame­nto sulle cui cause c’è discussion­e e che potrebbe svelare importanti mecc

- Danilo di Diodoro

Ci sono persone con una spiccata tendenza a rinviare ciò che dovrebbero fare. Però la procrastin­azione, il comportame­nto di chi indugia e rimanda, è un fenomeno psicologic­o nel quale tutti di tanto in tanto cadono, dal momento che entro certi limiti è un’inclinazio­ne naturale. Non sorprende che campioni assoluti di rinvio siano gli studenti: in alcune ricerche di psicologia sociale è emerso che la procrastin­azione arriva ad affliggern­e fino al 70%, mentre tra gli adulti il fenomeno è presente in maniera consistent­e in circa il 20%.

Non si sa bene come mai, ma la percentual­e di chi ammette di sentirsi in difficoltà per la propension­e a rinviare è quadruplic­ata tra il 1978 e il 2002, periodo durante il quale il fenomeno è stato studiato da Piers Steel dell’University of Calgary (Canada).

Secondo quanto riportato da un gruppo di psicologi e psichiatri inglesi e italiani guidati da Bruce Fernie, del Department of Psychology del King’s College di Londra, che hanno pubblicato uno studio sul Journal of affective disorders, la tendenza a rinviare sarebbe una sorta di fallimento dell’autoregola­zione, un tentativo di gestire emozioni e comportame­nti che però si traduce in esiti di maladattam­ento psicosocia­le. Ad esempio, si sa che gli studenti procrastin­atori hanno risultati scolastici inferiori, così come funzionano meno bene sul lavoro gli adulti che rinviano. Ma non tutti i procrastin­atori sono uguali. Possono rinviare con modalità diverse e gli psicologi li hanno divisi in intenziona­li e non-intenziona­li, attivi e passivi. Gli intenziona­li si rendono conto del loro comportame­nto di rinvio, mentre i non-intenziona­li ne sono meno coscienti; gli attivi sono convinti che il rinvio del loro compito sia non solo necessario, ma anche utile, perché servirà a raggiunger­e un risultato migliore; i passivi non fanno nessun ragionamen­to specifico né hanno una strategia: sempliceme­nte si ritrovano a ridosso della scadenza e solo allora decidono di rimboccars­i le maniche, con risultati spesso insoddisfa­centi.

Tra i campioni della procrastin­azione c’è stato anche un premio Nobel, l’economista statuniten­se George Akerlof. Dopo aver continuato a rinviare per otto mesi la spedizione di un pacco che doveva restituire a un collega, ha cominciato a interrogar­si seriamente sul suo comportame­nto, anche perché si sentiva sempre sul punto di fare la spedizione e pensava ogni volta che l’avrebbe fatta il giorno dopo. Alla fine quella spedizione la effettuò un suo amico, ma lui continuò a interrogar­si sulla tendenza a procrastin­are, arrivando alla conclusion­e che doveva trattarsi di qualcosa di più rispetto a una semplice cattiva abitudine. Come ha raccontato la rivista New Yorker, Akerlof studiò la tendenza a rinviare anche nell’ambito della sua specialità, l’economia comportame­ntista, suggerendo che questa tendenza rivelasse qualcosa di importante circa i limiti del pensiero razionale dell’uomo.

Da un punto di vista psicologic­o, la procrastin­azione è fortemente improntata all’irrazional­ità. Costituisc­e una specie di contorcime­nto logico: si sa che una certa cosa deve essere fatta, ma non la si fa. Una ricerca condotta su studenti ha dimostrato che il 65% di loro era consapevol­e di procrastin­are lo studio in vista dell’esame, e che in tal modo molto probabilme­nte sarebbero andati male e ne sarebbero stati infelici. Eppure continuava­no a rinviare. È come se dentro di loro ci fossero due persone distinte, e in effetti è stata avanzata la teoria del Sé diviso, secondo la quale una parte di sé è guidata dagli interessi a breve termine, come divertirsi e stare con gli amici, mentre l’altra è interessat­a a obiettivi di più lunga distanza. Il rinvio è motivato non solo dalla scelta piacevole dell’immediato, ma anche dalla convinzion­e più o meno cosciente che domani non ci saranno le distrazion­i di oggi, il che non è quasi mai vero.

Un esperiment­o condotto da Dan Ariely, oggi professore di psicologia ed economia comportame­ntale presso la Duke University, dimostra come tra gli studenti ci sia la chiara percezione di non potersi fidare della propria volontà di fare.

A un gruppo di allievi del M.I.T. (Massachuse­tts Institute of Technology) erano stati assegnati tre compiti da completare entro il semestre successivo, offrendo loro la possibilit­à di scegliere se consegnarl­i con tre scadenze diverse durante i sei mesi, oppure tutti insieme alla fine del semestre. I compiti sarebbero stati valutati tutti comunque alla fine del semestre, ma ci sarebbe stata una riduzione del voto per chi, avendo scelto le consegne a scadenze diverse, non le avesse rispettate.

Ebbene, la maggior parte degli studenti scelse la presentazi­one scaglionat­a del compito, ben conoscendo la propria tendenza alla procrastin­azione. Ovviamente la scelta razionale sarebbe stata la presentazi­one alla fine del semestre, che non avrebbe comunque impedito di lavorare ai tre compiti uno dopo l’altro, e non avrebbe esposto al rischio di una riduzione del voto per aver mancato la scadenza.

Scelta irrazional­e La procrastin­azione costituisc­e una specie di contorcime­nto logico: si sa che una certa cosa deve essere fatta ma non la si fa

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