Tu rimandi «attivamente» oppure «passivamente»?
Non tutti coloro che hanno la tendenza a «temporeggiare» si assomigliano In questa categoria c’è chi lo fa intenzionalmente e chi no, chi in modo attivo e chi passivo. Un comportamento sulle cui cause c’è discussione e che potrebbe svelare importanti mecc
Ci sono persone con una spiccata tendenza a rinviare ciò che dovrebbero fare. Però la procrastinazione, il comportamento di chi indugia e rimanda, è un fenomeno psicologico nel quale tutti di tanto in tanto cadono, dal momento che entro certi limiti è un’inclinazione naturale. Non sorprende che campioni assoluti di rinvio siano gli studenti: in alcune ricerche di psicologia sociale è emerso che la procrastinazione arriva ad affliggerne fino al 70%, mentre tra gli adulti il fenomeno è presente in maniera consistente in circa il 20%.
Non si sa bene come mai, ma la percentuale di chi ammette di sentirsi in difficoltà per la propensione a rinviare è quadruplicata tra il 1978 e il 2002, periodo durante il quale il fenomeno è stato studiato da Piers Steel dell’University of Calgary (Canada).
Secondo quanto riportato da un gruppo di psicologi e psichiatri inglesi e italiani guidati da Bruce Fernie, del Department of Psychology del King’s College di Londra, che hanno pubblicato uno studio sul Journal of affective disorders, la tendenza a rinviare sarebbe una sorta di fallimento dell’autoregolazione, un tentativo di gestire emozioni e comportamenti che però si traduce in esiti di maladattamento psicosociale. Ad esempio, si sa che gli studenti procrastinatori hanno risultati scolastici inferiori, così come funzionano meno bene sul lavoro gli adulti che rinviano. Ma non tutti i procrastinatori sono uguali. Possono rinviare con modalità diverse e gli psicologi li hanno divisi in intenzionali e non-intenzionali, attivi e passivi. Gli intenzionali si rendono conto del loro comportamento di rinvio, mentre i non-intenzionali ne sono meno coscienti; gli attivi sono convinti che il rinvio del loro compito sia non solo necessario, ma anche utile, perché servirà a raggiungere un risultato migliore; i passivi non fanno nessun ragionamento specifico né hanno una strategia: semplicemente si ritrovano a ridosso della scadenza e solo allora decidono di rimboccarsi le maniche, con risultati spesso insoddisfacenti.
Tra i campioni della procrastinazione c’è stato anche un premio Nobel, l’economista statunitense George Akerlof. Dopo aver continuato a rinviare per otto mesi la spedizione di un pacco che doveva restituire a un collega, ha cominciato a interrogarsi seriamente sul suo comportamento, anche perché si sentiva sempre sul punto di fare la spedizione e pensava ogni volta che l’avrebbe fatta il giorno dopo. Alla fine quella spedizione la effettuò un suo amico, ma lui continuò a interrogarsi sulla tendenza a procrastinare, arrivando alla conclusione che doveva trattarsi di qualcosa di più rispetto a una semplice cattiva abitudine. Come ha raccontato la rivista New Yorker, Akerlof studiò la tendenza a rinviare anche nell’ambito della sua specialità, l’economia comportamentista, suggerendo che questa tendenza rivelasse qualcosa di importante circa i limiti del pensiero razionale dell’uomo.
Da un punto di vista psicologico, la procrastinazione è fortemente improntata all’irrazionalità. Costituisce una specie di contorcimento logico: si sa che una certa cosa deve essere fatta, ma non la si fa. Una ricerca condotta su studenti ha dimostrato che il 65% di loro era consapevole di procrastinare lo studio in vista dell’esame, e che in tal modo molto probabilmente sarebbero andati male e ne sarebbero stati infelici. Eppure continuavano a rinviare. È come se dentro di loro ci fossero due persone distinte, e in effetti è stata avanzata la teoria del Sé diviso, secondo la quale una parte di sé è guidata dagli interessi a breve termine, come divertirsi e stare con gli amici, mentre l’altra è interessata a obiettivi di più lunga distanza. Il rinvio è motivato non solo dalla scelta piacevole dell’immediato, ma anche dalla convinzione più o meno cosciente che domani non ci saranno le distrazioni di oggi, il che non è quasi mai vero.
Un esperimento condotto da Dan Ariely, oggi professore di psicologia ed economia comportamentale presso la Duke University, dimostra come tra gli studenti ci sia la chiara percezione di non potersi fidare della propria volontà di fare.
A un gruppo di allievi del M.I.T. (Massachusetts Institute of Technology) erano stati assegnati tre compiti da completare entro il semestre successivo, offrendo loro la possibilità di scegliere se consegnarli con tre scadenze diverse durante i sei mesi, oppure tutti insieme alla fine del semestre. I compiti sarebbero stati valutati tutti comunque alla fine del semestre, ma ci sarebbe stata una riduzione del voto per chi, avendo scelto le consegne a scadenze diverse, non le avesse rispettate.
Ebbene, la maggior parte degli studenti scelse la presentazione scaglionata del compito, ben conoscendo la propria tendenza alla procrastinazione. Ovviamente la scelta razionale sarebbe stata la presentazione alla fine del semestre, che non avrebbe comunque impedito di lavorare ai tre compiti uno dopo l’altro, e non avrebbe esposto al rischio di una riduzione del voto per aver mancato la scadenza.
Scelta irrazionale La procrastinazione costituisce una specie di contorcimento logico: si sa che una certa cosa deve essere fatta ma non la si fa