Gli eroici 75 anni di Felice Gimondi
Il campione all’Eroica con una vecchia Bianchi «Sono caduto: qualche graffio, nulla di grave Basta un impacco di sigari, come faceva Bartali»
Sotto la pioggia, sulle strade bianche delle colline del Chianti, in sella a una Bianchi del 1970, Felice Gimondi, sembrava davvero essere tornato indietro nel tempo. Anche quando ieri mattina, a sei chilometri dall’arrivo dopo due ore di magiche pedalate, durante una discesa di fango e pietre, è caduto quasi volando.
A 75 anni suonati si è rialzato immediatamente. Fiero, orgoglioso. «Avrei voluto continuare ma il mio avvocato me l’ha proibito», racconta con un sorriso. Il legale del campione di ciclismo si chiama Norma ed è la figlia maggiore, anche lei appassionata di ciclismo. «Ha voluto che mi facessi vedere da un medico — continua Gimondi — ma per fortuna non ho fratture. Qualche escoriazione, un po’ di lividi, ordinaria amministrazione. Forse avrei dovuto ricordarmi dei consigli di Bartali».
E che c’entra il grande Gino sulle strade dell’Eroica, la mitica corsa amarcord inventata nel 1997 da Giancarlo Brocci, che come ogni anno si è corsa sulle strade bianche della Toscana? C’entra eccome. «Mi avrebbe detto, come accadde tanti anni fa durante una tappa di montagna del Giro d’Italia, che gli sembravo un po’ giù di gambe e se avessi voluto battere Anquetil e Motta, il giorno dopo avrei dovuto seguire il suo consiglio segreto — risponde Gimondi —. Che lì per lì mi sembrò la burla di un toscanaccio. Perché Gino mi disse di fare impacchi alle gambe di “toscani”. Sì, proprio i sigari. Io ho ubbidito e il giorno dopo vinsi la tappa. Durante la corsa sulle strade bianche mi sembrava ancora di vederlo Gino. Perché qui ti perdi nei ricordi».
E sono tanti quelli che affiorano dalla mente dell’unico italiano vincitore di Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta spagnola, e di una raffica di altri trofei compreso quello mondiale. Nel tratto più complicato e faticoso dell’Eroica ha ripensato a Merckx, il suo avversario, di sempre e si è ricordato di quella frase memorabile dopo la salita del Mendrisio. «Eddy vinse la tappa — ricorda Felice — ma all’arrivo mi chiese come fossi riuscito a non restare indietro. Mi disse che non si era mai sentito così in forma ed era convinto di arrivare primo con un grande distacco. “Ma tutte le volte che giravo la testa c’eri tu, non
La figlia A 6 km dall’arrivo è scivolato in discesa: «Volevo continuare, fermato da mia figlia» Il ciclismo oggi «Ci sono troppi soldi e tecnologia, ma poca serietà. Coppi vinceva con qualunque bici»
molli mai Felice, non molli mai”, mi disse. E io lo abbracciai. Eddy è stato il più grande di tutti e anche se mi ha oscurato (è arrivato due anni dopo di me) siamo rimasti amici, ci vediamo spesso e ricordiamo i vecchi tempi. Non sono mai stato geloso o invidioso di Eddy, era un mio avversario, ma mai un nemico. Con Gianni Motta invece non andavo d’accordo. Mi fregava allo sprint, ma anche con lui c’era rispetto. E questa era l’etica di quel ciclismo dove le strade bianche non erano scomparse».
E oggi? «Troppa tecnologia, troppo agonismo, troppi soldi, poca serenità — risponde —. Gino Bartali montava su qualsiasi bici e vinceva, Coppi pure. Per chi facevo il tifo? Per Bartali, da quando da ragazzino mio zio tifoso sfegatato di Gino mi prometteva di portarmi a fare un giro con il suo camion solo se avessi sostenuto Bartali. Ma ho fatto presto a innamorarmi del suo ciclismo e quando l’ho conosciuto anche del personaggio. Un vero eroe nel ciclismo e nella vita. Ma adesso, per favore guardiamo al futuro».
Già, il futuro. Quale? «Quello di mio nipotino Davide che ha 8 anni e non corre in bicicletta. Ma ci sarà tempo». Gimondi non lo dice, ma sembra che il prossimo anno ci voglia portare anche lui all’Eroica. Perché quelle strade bianche sono anche pedagogiche. Fanno venire voglia di pedalare e di diventare veri campioni. Nella vita e nell’anima.