Proiettili di gomma, cariche e oltre 800 feriti Il pugno duro sul voto
I catalani in coda ai seggi illegali del referendum Gli organizzatori: il sì all’indipendenza è all’87%
DAL NOSTRO INVIATO
BARCELLONA Il premier spagnolo Mariano Rajoy aveva assicurato che non ci sarebbero state urne e ci sono state. Che non ci sarebbero state schede e ci sono state. Che non ci sarebbe stato un voto e c’è stato. Allo stesso modo, però, il presidente catalano Carles Puigdemont aveva assicurato che il suo referendum indipendentista, dichiarato dai giudici come anti costituzionale, sarebbe stato «regolare, legittimo e con tutte le garanzie democratiche». Invece non c’erano osservatori dell’opposizione, liste elettorali verificabili o una Commissione di riconto minimamente indipendente. Non c’erano neppure cabine nella maggioranza dei casi per votare in segreto. In fondo non servivano. Il voto di ieri era l’espressione di una parte della Catalogna che si dibatte da anni in cerca di riconoscimento. Garanzie e legittimità erano evaporate da un pezzo.
Così, guidata da uno spirito quasi autolesionistico, la Spagna si è giocata la faccia davanti ai catalani, agli spagnoli e al mondo per chiudere 79 seggi referendari. Tanti, a partire dai nazionalista catalani ai baschi alla sinistra di Podemos, hanno rispolverato il vocabolario della storia parlando di «repressione di stampo franchista indegna di un Paese europeo del XXI secolo». «Lo stato spagnolo ha scritto oggi una pagina vergognosa della sua storia in Catalogna», ha detto il presidente catalano Carles Puigdemont. Aggiungendo: «Ci siamo guadagnati il diritto all’indipendenza».
Settantanove scuole trasformate in luoghi di voto sui 2.300 che, sparsi per tutta Catalogna, sono invece rimasti tranquillamente aperti l’intera domenica. Per chiudere questi 79 seggi gli «anti disturbios» si sono fatti fotografare mentre assaltavano le «barricate», prendevano a calci gli aspiranti repubblicani, manganellavano signore con la borsetta, spaccavano le dita a scrutinatrici, sparavano palle di gomma in faccia a cittadini senza neppure un sasso in mano. Tra feriti e contusi, gli ospedali catalani hanno registrato 844 persone. Per cosa? Il referendum dichiarato anti costituzionale, boicottato da tutte le opposizioni anti indipendenza, era già di per se stesso squalificato a poco più di uno spot a favore del catalanismo. La notte passata in Plaça de Catalunya a Barcellona in attesa di proclamare la scontata vittoria del sì, non conta. Come la presunta straordinaria partecipazione di 3 milioni di cittadini. Si sapeva che l’indipendentismo avrebbe trionfato con numeri non verificabili. Ieri le proiezioni davano il sì all’87%.
Ogni protagonista ha voluto recitare fino in fondo la parte che si è scelta. Il governo centrale del Partido Popular quella del guardiano dell’ordine a ogni costo. Gli indipendentisti catalani quella delle vittime innocenti, perseguitati da un nemico che arriva dall’arido entroterra pieno di invidia.
Gli orari della giornata sono indicativi per capire come hanno contato poco le esigenze d’ordine pubblico e molto di scelte politiche. Alle sei del mattino la polizia catalana, i Mossos d’Esquadra, avrebbe dovuto porre i sigilli a ciascun seggio. Non si sono visti. Dalle 5 si erano invece ammassati decine di volontari pro referendum. Chi aveva addirittura dormito nel seggio, chi si è svegliato presto per dar manforte. I Mossos cominciano ad arrivare verso le 8. Hanno le divise stirate, non certo per uno stato d’assedio. Valutano che la resistenza passiva degli aspiranti secessionisti rischierebbe di creare situazioni pericolose e tornano in commissariato.
I seggi aprono alle 9. La Guardia Civil blocca i siti su cui la Generalitat ha caricato le liste degli aventi diritto. Ma si inizia a votare comunque. I siti chiusi ricompaiono su altri server nei Paesi più vari. È a quel punto,