Oriol Junqueras «Sì al dialogo Ma noi adesso andiamo avanti»
La giornata referendaria è passata. Male, ma è passata. E ora? Oriol Junqueras, vicepresidente del governo regionale di Barcellona, tende la mano: «Faremo ciò che dicono le leggi votate dai deputati del Parlament e lo faremo dialogando e negoziando con tutti». Leader di Erc, un partito antico di sinistra, Junqueras è dato dai sondaggi come il vincitore assoluto di eventuali elezioni catalane.
Nella «ley de desconexión», si dice che con la vittoria nel referendum dichiarerete l’indipendenza unilaterale entro 48 ore.
«Per la precisione “48 ore dalla proclamazione ufficiale” dei risultati. Abbiamo tutto il tempo per discutere, dialogare, far riflettere chi deve riflettere. Un proverbio latino dice “fortiter in re, suaviter in modo”. Saremo decisi nelle nostre convinzioni, ma educati nel modo di porci».
La Dichiarazione unilaterale sarebbe un trauma peggiore del referendum.
«Non dipende solo da noi. Influirà molto l’atteggiamento del governo spagnolo e di tanti altri attori che possono entrare in scena. Da parte nostra, anche con il voto, abbiamo dimostrato la nostra capacità di gestione. Il Pil della Catalogna cresce il triplo rispetto al deficit. Non ci sono molte altre economie europee che possano mostrare risultati simili».
Torniamo al voto.
«La democrazia non deve subire minacce. Votare è quello che voglio, è lo strumento migliore per decidere. Una repressione di questo tipo è incredibile in una democrazia europea».
Esistono le regole. Il referendum era illegale.
«Il governo spagnolo ha fatto il possibile perché i cittadini non mettessero la scheda nell’urna. E invece siamo convinti che sia stato il nostro obbligo permetterlo. È una questione di dignità civica».
Ma resta anti costituzionale.
«Ci proibiscono di adottare per la Catalogna una legge di effettiva eguaglianza tra uomini e donne. Ci proibiscono di aiutare chi non ha il riscaldamento durante l’inverno. Non rispettano i nostri deputati e i cittadini. Perché? Sono sicuro che tanti deputati spagnoli e tanti democratici di tutto il mondo ci capiscono».
Se la Catalogna fosse più povera dell’Andalusia vorrebbe lo stesso l’indipendenza?
«Probabilmente sì, è una questione di diritti umani, di difesa della democrazia. Ognuno deve poter scegliere. Noi vogliamo un’Europa più forte».
E con più confini?
«No, Stati più efficienti. Grandi o piccoli dipende. Sono secessionista, ma quando l’indipendenza ci sarà, resterò repubblicano, europeista. Ho studiato in una scuola italiana e sono catalano. A Barcellona si parlano 264 lingue e tutti votano. Dobbiamo essere fieri e rispettosi delle diversità».